Esteri

Medio Oriente

La tregua sugli ostaggi rivela le debolezze di Hamas

In Israele tutto è cambiato il 7 ottobre. Gli scambi una volta valevano uno a mille. Ora si contratta il tempo

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Anche se l’accordo sugli ostaggi dovesse fallire, i patti a cui sono scesi i capi di Hamas dimostrano in pieno quanto siano gravi le difficoltà in cui si trova l’organizzazione terroristica dopo l’attacco israeliano nella Striscia di Gaza. Allo stato attuale un ostaggio israeliano non vale più centinaia di prigionieri, come è stato nel caso di Gilad Shalit, un ostaggio, e i terroristi in questo momento ne hanno in mano circa 240, vale una tregua più o meno lunga.

Israele e Hamas: le trattative sugli ostaggi

Hamas ha la necessità di guadagnare pause dalla pressione militare che l’esercito israeliano sta esercitando dall’indomani dell’attacco che lei stessa ha portato contro i kibbutz, i villaggi di frontiera e la città di Sderot. Nel 2011 lo scambio di prigionieri per la liberazione di Shalit aveva un tasso di 1.100 terroristi palestinesi, compresi assassini di massa condannati all’ergastolo, per un singolo soldato israeliano. Nonostante fosse prevista la liberazione di assassini con le mani sporche di sangue, la maggior parte degli israeliani sostenne allora l’accordo e sia il primo ministro Benjamin Netanyahu sia l’allora ministro della Difesa Ehud Barak fecero di tutto per portare a termine la trattativa. Da allora però sono passati dodici anni e, considerando che molti di quei terroristi rilasciati in quello scambio sono gli stessi che hanno pianificato ed eseguirono il massacro del 7 ottobre, tutto è cambiato.

La strage e la reazione

Durante il pogrom sono state rapite troppe persone e fra loro anche bambini, anziani e malati. Questo ha fatto sì che la vecchia logica dello scambio di prigionieri è cambiata, e per sempre. Ogni malvivente è consapevole che esiste un punto critico nell’estorsione, punto critico che si manifesta nel momento in cui il costo per evitare la violenza supera il costo della violenza stessa. A quel punto la reazione della vittima passa dalla trattativa alla vendetta.

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All’inizio della guerra, quando l’invasione della Striscia di Gaza era solo in preparazione, sia Hamas sia la Jihad islamica iniziarono a rilasciare ostaggi, prima una donna e la figlia che avevano anche il passaporto statunitense, e poi due donne anziane. Si trattava di una mossa che nelle intenzioni doveva ritardare l’incursione di terra, è stata invece la dimostrazione che i terroristi non avevano compreso la portata del cambiamento avvenuto tra gli israeliani.

Il piano di Israele sugli ostaggi

Il governo dello Stato di Israele, forte dell’appoggio popolare, ha ignorato l’esca palestinese e ha proseguito, nonostante le pressioni internazionali, con il suo programma: campagna di bombardamenti dall’alto e poi l’invasione via terra ignorando, o almeno apparentemente ignorando, che i terroristi avevano in mano degli ostaggi.

Con il passare dei giorni e con la pubblicazione di fotografie dove erano ritratti soldati israeliani all’interno dei principali centri del governo di Hamas, il palazzo del parlamento pieno di soldati della dodicesima Golani è stato l’esempio più eclatante, seguite a ruota dalla pubblicazione dei filmati dove si vedevano questi edifici che saltavano in aria, hanno fatto capire a chi doveva capire che il tempo delle trattative si era fermato al 7 ottobre 2023.

Tutto è cambiato

Come al solito, e c’era da aspettarselo, gli osservatori stranieri sono rimasti spiazzati dagli eventi e i più critici fra loro, quelli che hanno visto fallire la narrativa che hanno raccontato per anni al loro pubblico, si sono lamentati delle imponenti distruzioni. Ma il messaggio non era per loro, era per Hamas che ha visto e capito. Quando l’esercito israeliano è arrivato nei pressi dell’ospedale Shifa di Gaza lo Stato Maggiore ha avvertito, e lo ha fatto per tre settimane, che i corpi speciali stavano per entrare.

Si trattava di un modo semplice per permettere al nemico di fuggire ed evitare di dover affrontare combattimenti all’interno di un ospedale. L’opinione pubblica mondiale non solo avrebbe fatto finta di non capire, anzi, non aspettava altro che una ragione per ricominciare a condannare lo Stato Ebraico. Entrare però in quell’ospedale era necessario per dimostrare al mondo che Hamas usava le strutture sanitarie come basi militari, per dimostrare ai terroristi che ormai non ci sono più posti sicuri né a Gaza né in nessuna altra parte del mondo, e per non dare a quell’opinione pubblica sempre pronta a condannare Israele un motivo in più per aprire bocca. Anzi un motivo in più per tenerla sigillata.

Secondo chi scrive questa è la chiave per comprendere la guerra in corso e capire che in questa fase Israele non parla all’Occidente, il suo messaggio è per Hamas e recita: non c’è nessun posto a Gaza in cui non possiamo arrivare, non c’è pietra, tunnel o edificio che non rovesceremo per inseguirvi. Nessuna delle tattiche che una volta ti tenevano al sicuro è più valida.

E Hamas ha visto e capito.

I terroristi sotto assedio

L’Occidente e le sue prese di posizione al di fuori della logica mediorientale, che per troppi anni hanno impedito allo Stato Ebraico di difendersi come avrebbe dovuto, sono ormai diventate per Gerusalemme una preoccupazione secondaria. Sono migliaia i combattenti di Hamas nascosti nelle tane sotterranee costruite con i finanziamenti che dovevano servire per infrastrutture civili e sono lì da quasi sette settimane con le scorte di cibo, di carburante e anche di acqua potabile sotto il livello di sicurezza.

I terroristi si erano sicuramente preparati per un’incursione ma non avevano preventivato che la permanenza dell’esercito con la Scudo di David sarebbe stata a tempo indeterminato e che questa volta l’Idf avrebbe distrutto e sigillato centinaia di ingressi di tunnel, più di 600 secondo l’ultimo conteggio, in maniera sistematica.

Distruzione e chiusure che hanno trasformato i loro stessi tunnel della morte in trappole senza uscita.

Mentre Israele stringe lentamente il cappio attorno alla rete sotterranea di Gaza, Hamas, che ha tirato troppo la corda fino a romperla, vede il completo fallimento della sua strategia della città sotterranea distrutta da un lavoro semplice e paziente degli specialisti israeliani.

Ora, con il lento rilascio degli ostaggi e la rimessa in libertà di terroristi condannati per attentati, c’è una tregua, un momento di riposo dalla morsa militare delle ultime settimane e sarà proprio in questi giorni che Mohammed Deif e Yahya Sinwar, i capi militari di Hamas, decideranno se arrendersi, scappare o, una volta serrati i ranghi dei combattenti ancora rimasti, è inevitabile che in questi giorni di tregua i terroristi sopravvissuti proveranno a riunirsi con quelli stazionati a Sud, continuare a combattere mescolati in mezzo ai civili alla ricerca di nuovi massacri da vendere alla propaganda internazionale.

Michael Sfaradi, 24 novembre 2023

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