Sarà anche vero che parlare di libri in televisione è come danzare di architettura, ma Romanzo italiano, programma ideato da Camilla Baresani e condotto da Annalena Benini, ieri la prima delle 8 puntate in onda ogni sabato alle 18 su Rai3, ha dimostrato per l’ennesima volta che il “radical chic” ormai non funziona più. Ci vorrebbe un programma letterario più rock, meno patinato e pettinato ma soprattutto senza avere come ospiti i soliti scrittori para-cool. Sarà anche che viviamo in un mondo che più che vero è “Verissimo” ma Romanzo italiano ha dimostrato di essere un programma con protagonisti i soliti scrittori “radical-chic”, i soliti scrittori “para-cool” capaci di parlare di se stessi più che di libri.
Non amiamo i dati di ascolto, ma esistono: nella stessa fascia oraria Verissimo ha raggiunto 2.330.000 di tele-spettatori (16,26% di share), mentre Romanzo italiano soltanto 802.000 con il 5,44% di share: lo stesso, ad esempio, che ha ottenuto la trecentesima replica de La Signora in Giallo in onda alle 13 su Rete4. Ascolti sconfortanti a parte – ed è inutili che ci si appelli che in Italia si legge poco, perché Daria Bignardi con Tempi Moderni aveva dimostrato che con un format e una conduzione meno da naftalina- il seguito era numeroso. Peccato perché le premesse c’erano tutte: Camilla Baresani è cresciuta a fianco del marito Paolo Giaccio (tra i massimi autori e produttori televisivi italiani: da “Per Voi Giovani” a “Mr Fantasy”, solo per citare due trasmissioni che hanno precorso addirittura la tv americana) e la sua eleganza è indiscutibile.
Lo stesso per Annalena Benini – tra le migliori firme italiane non solo culturali. Anche la regia e la fotografia hanno reso la prima puntata un piccolo gioiello (meno il montaggio, con stacchi da Photoshop). Purtroppo la Benini era, già dall’abbigliamento, baresanizzata: con una mise elegante ma troppo da “Signorina Rottermayer”, che è poi la cifra stilistica di Camilla Baresani, ma soprattutto quel suo accento da salotto romano veltroniano escludeva i telespettatori che da un “romanzo italiano” forse si aspettavano dell’altro. Peccato perché il prodotto finale dal punto di vista estetico raggiunge le vette di “Cult Book” il programma condotto da Stas’ Gawronski e prodotto da Giovanni Minoli per RaiEducational negli anni ’90, talmente tanto che si notano le influenze. L’idea di raccontare il “romanzo italiano” raccontando le regioni è ambizioso e i precedenti, anche più sociologici, sono, solo per fare due esempi, il Viaggio in Italia di Guido Piovene o I Dieci Comandamenti di Domenico Iannacone che, come abbiamo già scritto, meriterebbe il Premio Strega.
Il risultato è un disastro, almeno nella prima puntata dedicata alla Campania: gli scrittori ospiti – Valeria Parrella, Diego Da Silva, Antonio Pascale e Francesco Piccolo – sono autoreferenziali, noiosi oltre che, come nel caso di Piccolo (autore di Rai3) in conflitto di interessi. Poco rock e tanta tanta noia. Si prenda Diego Da Silva che parla di Caserta sottolineando che “la pizza come la fanno qui non la fanno da nessuna parte” o lo scrittore Piccolo Piccolo che introdotto come “autore che fa ridere e riflettere” (il massimo della banalità), confessa che da “piccolo”era “bullizzato” e che grazie a questo è diventato scrittore perché “solo essendo gli ultimi si può diventare scrittori”. Peccato che manchi un autentico ultimo della “classe” che rompa il vetro di una trasmissione che sarebbe un capolavoro se solo fosse più vera.
Gian Paolo Serino, 23 dicembre 2019