Di Maio dal balcone. Di Maio l’aeroplano. Di Maio il mondo a caso. Di Maio un palmo di naso. Ogni volta che lo vedi, ti viene in mente Oliver Hardy: “Insomma, c’è qualcosa che sai fooore?”. Domanda inutile, peccato non se la siano posta Mattarella, Conte e Draghi, che, in articulo mortis, lo ha imposto come mediatore per il Golfo Persico: Gigino subito ha esultato, uhè, guagliò, si va a piscar o piss, credeva il pesce persico, si è messo furiosamente a cercare sul mappamondo il golfo di Mergellina. Fortuna che qualche punto interrogativo, su questo eroe dei nostri tempi, comincia ad arrotarlo nientemeno che una accolita screditata quale è l’Unione Europea: a Bruxelles, scrive Le Monde, nutrono perplessità, vai di eufemismo, considerate le sue competenze, soprattutto la conoscenza “da debuttante” dell’inglese e la scarsa esperienza nel Golfo (Persico). Bestia che figura, meno male che of May è stato ministro degli Esteri. Poi si arriva alla pochade: “grande sorpresa” per la “curiosa nomina”, ma tanto non cambierà molto perché “gli stati produttori continueranno a trattare con le compagnie nazionali”, frase messa in bocca a un dirigente italiano del comparto energetico. Tradotto (immaginatela con la voce del Califfo: puoi): Di che? Di Maio? E che, siamo scemi?
Più criptico, forse palpabilmente allusivo, il presidente di Confindustria, Bonomi, quando osserva che “cambiarlo [l’incarico nel Golfo] significa non avere un italiano in quel posto ma in un altro paese”. Sì, beh, la controbbiezione è facile: perché in quel posto dovremmo prendercelo noi? Ricapitolando, Di Maio, grillino-transformer, rivoluzionario shapeshifter, fregoli per vocazione, azzimata epitome della noia (non ho detto boia, ma noia, noia, noia), vince l’elezione, gli prende l’erezione, si affaccia sul balcone, dice siamo un milione, abbiamo sconfitto la povertà, il plurale è majestatis ma il senso è particulare, va alla Farnesina, dove per fortuna conta come una scartina, fonda un suo movimento che adesso non mi ricordo come si chiama, va in pizzeria a Napoli dove lo portano in trionfo come un DC9, nove quanti saranno i voti rimediati, tutti parentali, sparisce dal radar, cade in depressione, ma subito guarisce perché il cosiddetto Supermario, quello di “non ti vaccini ti ammali muori”, “volete voi la pace o i condizionatori?”, il Mozart dell’economia finanziaria, lo reinventa come missionario per gli affari mediorientali. Ora, la posizione del missionario va bene, ma perché in quel posto dovremmo prendercelo noi?
La prospettiva erotico-diplomatica non piace neanche al governo, che, per bocca del successore, Tajani, fa sapere a quel gran genio di Borrell, che ha l’ultima parola, che “Di Maio non è una candidatura governativa”, ma del governo precedete, e non c’è solo un sacrosanto tirarsene fuori, perché anche in una politica stra-sputtanata come questa un briciolo di dignità rimane, ma pure un doveroso “pigliatevela in quel posto e soprattutto con Draghi”. Che è il regista di questa porcata, come altrimenti chiamarla?, il cui scopo palmare era sabotare donna Giorgia o almeno indispettirla. A meno che, sotto, ci siano arcana imperii che non vogliamo neanche immaginare. Resta il fatto che l’italiano che ci invidiavano tutti (Mario, non Gigino), il feticcio bancario, la voce dell’autorevolezza in Europa, nel Mondo, nella via Lattea, nel golfo di Mergellina, ha combinato una vaccata tale da coprirci di miseria agli occhi del mondo: il che è puntualmente accaduto. E a questo punto, delle due l’una: o Draghi aveva le sue buone ragioni, che però non coincidono con quelle del paese. Oppure era in ottima fede, e questa è un’aggravante. Cioè Di Maio è quello che è, ma Supermario che alibi ha?
A margine, ci sia consentita un’osservazione un po’ più ruvida. Questa è la classe di potere, diventato regime, che ci ha strizzato le palle per oltre due anni, coi risultati che sappiamo e le conseguenze che ci portiamo addosso (fine pena: mai). Tutto ciò che potevano sbagliare, l’hanno sbagliato (se poi si sono sbagliati). Tutto ciò che di diverso dovevano fare, l’hanno trascurato. Tutto quanto poteva andare storto, l’hanno fatto andare in rovina. Uno vede Speranza, da solo, in una sala d’aspetto d’aeroporto, unico al mondo con la mascherina. Vede i viroaccattoni che ancora grufolano nelle profezie di sventura. Vede i numeri di quel curioso erogatore di allarmi pandemici che è Gimbe. Vede Di Maio, quello di mister Ping, dell’Austria al posto dell’Australia. Vede IpoMario che lo rimette in sella, stesso stipendio, sui 14mila, benefit esclusi, sordo al disprezzo popolare. E di questo paese si vergogna. Profondamente, disperatamente. Rassegnatamente. Di Maio incompetente. La Ue, ed è tutto dire, inappetente. Il governo sconoscente. E Draghi, anche lui qualche cosa, scegliete voi, in -ente.
Max Del Papa, 22 novembre 2022