La crisi dei partiti è connessa a quel deficit di moralità anti-meritocratica che contrassegna da qualche anno la vita politica italiana. Al meeting di Rimini Cassese ha ribadito una sua consolidata osservazione: “Il numero degli italiani è aumentato di 10 milioni in 70 anni, ma è un ottavo il numero degli iscritti ai partiti rispetto a 70 anni fa”. Il giudice emerito della Consulta ha inoltre rimarcato che le attuali forze politiche non possono chiamarsi partiti: “Solo una delle forze politiche presenti in Parlamento conserva nella sua denominazione sociale la parola partito. I partiti erano associazioni con molti iscritti, un’articolazione territoriale, una vita continua delle sezioni, congressi nazionali, organi centrali. Tutto questo non esiste più”.
“Siamo di fronte ad una ‘leaderizzazione’ e verticalizzazione del potere. Il partito è ora costituito da un leader con un seguito elettorale”, ha detto Cassese. Possibile che il distacco tra cittadini e Istituzioni sia stato liquidato come una reazione contro la casta, senza dare il giusto rilievo alla squalificante manifestazione di opportunismo resa da chi dovrebbe essere chiamato a rappresentare i cittadini, il popolo italiano, nelle Istituzioni?
Uno vale uno? Il giacobinismo istillato dai grillini nelle vene della politica italiana, già intossicate da anni di socialismo reale, ha reso norma di comportamento di massa l’eccezione arrivistica e spudorata riservata solo ai più scaltri. Il leader di ieri era un soggetto carismatico, capace – anche se talvolta in negativo – di creare legami, opinioni convergenti, interessi comuni. Oggi è solo uno che ha vinto la riffa del Parlamento e che ha aggiunto al quarto d’ora di notorietà garantito da Andy Warhol, anche un analogo tempo di superpotere personale, vellicato dai like dei social media, nel silenzio assordante dei media tradizionali, sempre intenti a non disturbare il potente di turno.
Antonio Mastrapasqua, 31 agosto 2021