Rivoluzione Gedi

La vera storia dell’uscita di Giannini: ecco cosa succede alla Stampa

Il direttore lascia il quotidiano torinese con largo anticipo rispetto a quanto previsto. Le voci dall’interno dicono che…

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giannini la stampa

Se non è un fulmine a ciel sereno, poco ci manca. Certo: nel mondo del giornalismo quasi nulla è per sempre ma l’addio di Massimo Giannini alla Stampa si è consumato forse più rapidamente di quanto molti, e pure il diretto interessato, si aspettassero. Tutti ormai ne parlano, ma la parte succulenta di questa storia non è tanto “cosa” sia successo. Ma “perché”.

Per capire bisogna partire innanzitutto da un dato, che è poi quello che in teoria dovrebbe interessare agli editori: le copie vendute. La Stampa non stava andando affatto bene e dall’interno della redazione danno la colpa alla linea assunta: fare un “giornale dei lavoratori”, con interviste a Landini un giorno sì e l’altro pure, “può piacere ai circoli buoni ma piace meno ai lettori piemontesi che sono di sinistra ma pur sempre borghesi”. La nomina di Andrea Malaguti, oggi vicedirettore, riporterà La Stampa ai vecchi tempi: sarà più locale o “glocal”, dedicato cioè alla macro-regione del Nord, abbandonando così la deriva di “giornale politico nazionale” impressa da Giannini. In fondo, negli ultimi tempi, il quotidiano torinese era diventato praticamente la copia di Repubblica, foglio di opinione “de sinistra” dove il direttorissimo tornerà nelle vesti di editorialista.

Giannini ha 61 anni e tutti erano convinti che avrebbe mollato la Stampa nella primavera del 2024, come previsto. Oggi, invece, il colpo di scena. Il direttore se ne va prima e sul tavolo ci sono diverse questioni: il suo possibile pre-pensionamento, un contratto in tasca con Discovery (la vera polizza assicurativa per restare nel Pantheon degli opinionisti sinistri) e la cancellazione delle doppie firme nella pattuglia Gedi. È quest’ultima la vera rivoluzione: i vertici della società editoriale vogliono darci un taglio con quei collaboratori che fino ad oggi lavoravano sia per Repubblica che per la Stampa, leggasi Concita De Gregorio, Carlo Petrini, Lucio Caracciolo e Michela Marzano.

Infine, l’ultima chicca. L’addio anticipato di Giannini, e il suo ritorno a Repubblica come “semplice” editorialista, è a tutti gli effetti una grande vittoria di Maurizio Molinari. Gli scontri tra i due sono stati epici, basti ricordare quando al funerale del fondatore Eugenio Scalfari, Giannini fece un discorso molto sentito da direttore di Rep in pectore. Che però non era lui: quando si aprì la successione ad Ezio Mauro, infatti, lui era convinto di prendere finalmente il timone del quotidiano. Ma gli editori gli preferirono Molinari.

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