“Scusi, presidente Conte, come mai a tre mesi dalla dichiarazione dello stato di emergenza nazionale e a due dal lockdown il governo e le regioni non hanno ancora un piano per controllare l’epidemia sul territorio se dovesse riprendere il contagio?”. Eccola qua la domanda, semplice e logica perché basata sulla cronaca di questa storia tragica e comica che stiamo vivendo agli arresti domiciliari, che un giornalista avrebbe dovuto porre al presidente del Consiglio ieri sera. Nessuno l’ha fatto, nessuno lo farà. Gliela pongo io da queste colonne.
Voi tutti dovete sperare una sola cosa: che non vi sia una ripresa anche minima dei contagi. E non per la salute, ma perché il governo e le regioni, dopo ben tre mesi, non hanno alcun piano alternativo alla chiusura degli italiani nelle case. Un Paese fallito. Non c’è altro da dire. Se non che si fa finta di niente e si spaccia il fallimento per senso di responsabilità. Nauseante. Ho assistito all’ennesimo pistolotto del capo del governo, anche se ogni tanto andavo a parlare con il cane per distrarmi dalle miserie del mio Paese e guardare occhi sinceri. Il capo del governo non deve interessarsi alla mia vita ma deve lavorare per garantire un piano di controllo di una ripresa dell’epidemia.
L’unica sicurezza di cui davvero abbiamo bisogno per noi, per i nostri figli, per i nostri lavori e commerci e studi e amori e dolori e umanissime faccende di virtù e peccato è quello di sapere di poter fare affidamento su una struttura territoriale capace di controllare il contagio con i tamponi, l’individuazione dei positivi, l’isolamento e il tracciamento. È una cosa che sanno ormai tutti, anche le pietre. Questo era il compito preciso del governo che era implicito nel momento in cui è stato chiesto agli italiani di restare a casa. Gli italiani, per paura e per responsabilità, hanno fatto la loro parte. Ma il governo e le regioni non hanno fatto la loro. Alla fine ridicola di questa storia ci ritroviamo come al principio: indifesi. Così l’Italia continua ad essere dopo mesi una nazione di sessanta milioni di abitanti che è esposta al pericoloso senza piano di controllo. Il problema è questo, non la morale del governo paternalista ai cittadini trasformati in sudditi.
Oggi Paolo Giordano sul Corriere della Sera chiede che sia detta la verità e che politici e scienziati chiedano scusa per i tanti errori commessi. Sarebbe quanto meno decente per evitare lo spettacolo nauseabondo di vedere aggiunto al danno anche la beffa di chi ti viene a fare la morale. Come è accaduto ieri sera con il capo del governo che diceva di non poter concedere, non poter permettere, non poter consentire. Cosa? La libertà. Allo scrittore della solitudine dei numeri primi vorrei dire che la lezione seria che va appresa da questa tragicommedia nazionale è che anche nel pericolo massimo non si può barattare la libertà con la sicurezza perché la sicurezza è un bene relativo, molto relativo, mentre la libertà è un bene assoluto. La libertà è garanzia di sicurezza, non il contrario.
Ora anche gli italiani, se vogliono imparare la lezione della vita, la possono apprendere dalle loro stesse ferite e sacrifici: il governo non è in grado di garantire un minimo di sicurezza sanitaria e si affida alla stella della Primavera. Non c’è maggior prova che le cose si fanno non sospendendo la libertà ma avendo la stessa nostra libera condizione come mezzo e come fine. Altrimenti, come dimostra la scena nazionale impoverita e depressa nella quale siamo precipitati per insipienza si perde, come dice il detto comune, sia Filippo sia il paniere ossia sia la sicurezza sia la libertà.
Scusi, presidente Conte, risponda alla domanda e poi tolga il disturbo perché né noi né le giovani generazioni possiamo più permetterci l’inettitudine dei galli che ballano sulle tragedie.
Giancristiano Desiderio, 27 aprile 2020