Qui non si tratta di semplice situazionismo, di diventare all’improvviso tifosi di Ursula von der Leyen, come i piddini diventarono all’improvviso estimatori di Giuseppe Conte (e i grillini alleati del “partito di Bibbiano”). C’è un motivo più profondo – invero, ce ne sono almeno tre – per cui la Lega fa bene a sostenere il nascente governo di Mario Draghi. Anzi, la linea caldeggiata da Giancarlo Giorgetti e adottata da Matteo Salvini è, a ben vedere, la prima mossa azzeccata del Capitano da quella folle estate al Papeete.
Chi ha voluto Super Mario
Iniziamo dal raccontare, senza sviolinate al santo patrono della Bce, la verità sulla chiamata di Draghi a Palazzo Chigi.
Non si trattava solo di impedire che i sovranisti vincessero le elezioni, quanto di agganciare definitivamente l’Italia alla locomotiva europea. È questa la funzione dell’ex capo dell’istituto di Francoforte.
Sì, c’è il piano vaccini. Sì, c’è la scuola. Sì, c’è la crisi occupazionale. Ma il dossier che più preoccupava Sergio Mattarella, da prima ancora che entrasse in crisi il Conte bis, era il Recovery fund. Presentare un piano validabile da Bruxelles vuol dire convincere l’Europa a erogare le rate semestrali. E se riceviamo il denaro, significa che non possiamo più smarcarci dall’Unione: un commissariamento soft, ma permanente. Non è soltanto una partita economica: il Next generation Eu non ci regalerà certo un tasso di crescita cinese. Si tratta di una partita anzitutto geopolitica.
La Lega rompe con Putin
Salvini sembra averlo compreso talmente bene, che ieri, all’uscita dalle consultazioni, ha dichiarato: “In Europa guardiamo all’Occidente e alle democrazie”. Tradotto: basta flirt con i russi. Proprio nel momento in cui Mosca e Bruxelles sono ai ferri corti per il caso Navalny.
Da qui discende il primo motivo che spiega perché la scelta della Lega sia condivisibile: non c’era un’alternativa a Draghi. È vero: dietro l’intervento dell’economista ci sono i poteri forti, il Colle, le pressioni delle cancellerie europee. Ma in questa fase – con i sovranisti irrilevanti nell’Ue, la Gran Bretagna per fatti suoi e i democratici tornati in sella alla Casa Bianca – opporsi alle cordate che hanno portato Mr Bce a Palazzo Chigi, significherebbe combattere contro i mulini a vento.
Controllare il governo da dentro
Questo ci porta direttamente alla seconda ragione per essere d’accordo con il Carroccio: stare dentro il governo significa avere qualche voce in capitolo. Controllarne l’operato. È una scommessa, ovviamente, perché in termini numerici, a Draghi bastano i voti della maggioranza Ursula. Ma Draghi non è Conte. Non è un arrampicatore sociale, malato di protagonismo, né ha disperatamente bisogno di rimanere a galla. La sua autorevolezza gli impone – così, almeno, supponiamo – di non ignorare quel grosso pezzo d’Italia che la Lega rappresenta. E che non è solamente un elettorato di protesta, ma incarna i ceti produttivi del Nord, quelli che tengono in piedi il Paese.
Non vuol dire che a dettare l’agenda sarà Salvini. Lo si è già visto con la flat tax. In generale, Super Mario non accetterà condizionamenti sostanziali dai partiti. Ma è indubbio che, in quasi totale assenza di opposizione parlamentare e culturale, sarà più facile mettere una bandierina stando nell’esecutivo, che chiamandosene fuori, pur con nobilissime giustificazioni di principio, come sono quelle di Giorgia Meloni. A meno che non si voglia consegnare Forza d’Italia a una consolidata ammucchiata, stile Grande coalizione tedesca, con i sovranisti ritirati su un perpetuo aventino.
Il successore di Mattarella
Terza motivazione. Con la testa già a gennaio 2022, quando si dovrà eleggere il successore di Mattarella. Draghi partiva con ottimi numeri e il suo nome era stato fatto proprio da Giorgetti, in tempi non sospetti. Se, entro fine autunno, il premier incaricato portasse a casa Recovery plan e qualche successo tangibile sui vaccini, l’ex numero uno di Francoforte sarebbe il primo candidato spendibile. E, per la prima volta dall’era di Francesco Cossiga, non sarebbe un esponente organico alla sinistra.
La storia recente ci ha mostrato quanto sia importante occupare la casella del Quirinale. Il centrodestra, specie con questo Parlamento, non può riporre le proprie speranze in una personalità tutta interna alla coalizione, anche se il Cavaliere ha qualche carta da giocarsi. Draghi presidente della Repubblica dovrebbe essere, se gli eventi non ci smentiranno clamorosamente, una figura di garanzia: garanzia anzitutto per l’Europa, ma anche, se non per la destra in quanto tale, per gli interessi di cui è latrice la Lega.
Occhio alla Troika
Chiudiamo aggiungendo una postilla, che lascia intendere come sia pressoché obbligatorio augurarsi il successo di Super Mario e contribuire affinché si realizzi. Perché se lui fallisce, l’Italia precipita. Il suo arrivo coincide con una conclamata e clamorosa bocciatura dell’intera classe politica. Questo, i cittadini, di destra e di sinistra, l’hanno capito. Ma se l’ennesimo soccorso tecnocratico finisse in una mesta riedizione del governo Monti, lo smacco sarebbe storico.