C’è del metodo in questa follia. Si potrebbe scomodare Shakespeare per provare a dare una spiegazione plausibile degli attacchi quotidiani, sferzanti e provocatori, che Enrico Letta rivolge a Matteo Salvini. L’ultimo ieri su Twitter, apostrofandolo per aver tenuto “in ostaggio” questa volta un intero Consiglio dei ministri e non semplicemente dei migranti (e fra l’altro con perfetto sincronismo i pm di Open Arms chiedevano nelle stesse ore a Palermo il processo per il leader leghista).
In effetti, anche se sulla stampa amica (cioè quasi tutta) si sono sprecate le descrizioni epiche di Letta come un “alieno” che volontariamente aveva scelto l’“esilio” parigino per stare lontano dalle “bassezze” della politica nostrana, un professore “ingenuo” cooptato da SciencePo per meriti scientifici e catapultatosi in Italia per una sorta di altruistico senso del dovere nei confronti del suo partito e del Paese, è chiaro che questa narrazione di comodo non corrisponda minimamente alla verità dei fatti. I quali ci dicono che Letta ha masticato pane e politica, prima a livello giovanile nella Dc e poi a livello apicale nel Pd, sin da giovanissimo. E mai si è staccato dalla politica italiana, preparando ambiziosamente il “gran ritorno” che alla fine c’è stato dopo le dimissioni di Nicola Zingaretti dieci giorni fa. È perciò evidente che le sue uscite a gamba tesa vanno lette in una chiave solo ed esclusivamente politica, che è quanto qui si farà.
La prima impressione che si potrebbe avere è che Letta voglia marcare un terreno identitario che, dopo tante solenni promesse non mantenute (“o Conte o elezioni”, “mai con Salvini”, ecc. ecc.”), è a grosso rischio di smottamento: il pericolo è quello di avvalorare fra cittadini ed elettori l’idea (fra l’altro espressa esplicitamente in una sorta di cupio dissolvi dal segretario uscente) che il Pd non creda più a nulla e sia interessato solamente alle poltrone.
Ammettiamo pure, senza concedere, che sia così, ma una domanda sorge allora spontanea: il gioco vale la candela, ovvero ci si può definire gli unici supporter convinti di Mario Draghi e poi contravvenire così palesemente alle “regole d’ingaggio” da lui stabilite? Non è mancanza di rispetto, anche istituzionale? E non è questo un “governo di tregua” che esige da tutti un passo indietro momentaneo, e anche di deporre le più acuminate fra le ascie di guerra per concentrarsi sull’emergenza che vive il Paese? Perché allora si vanno a toccare i punti per l’avversario più sensibili, in primo luogo quello dello ius soli (ma anche il voto ai sedicenni), che, saranno pure altamente simbolici, ma non sono assolutamente una priorità in questo momento e, per di più, non sono nel programma di governo?
Letta è troppo un politico di vecchia data per non accorgersi che, attaccando Salvini, egli attacca anche (anzi in primo luogo) Draghi e l’esecutivo da lui presieduto. E in più, provocandolo, rischia che il leader della Lega faccia un passo falso. E faccia cadere il governo. D’altronde, anche solo spostando il discorso sul terreno identitario, Letta fa sì che quest’ultimo debba rispondere sullo stesso campo di gioco riproducendo quella polarizzazione che non fa bene al governo e rischia di consumare l’immagine di Draghi facendogli perdere lustro. E se fosse proprio questo l’obiettivo del nuovo segretario del Pd, per conto proprio, del suo partito o di uno dei tanti pretendenti al Colle poco importa?
Non credo che il mio sia complottismo a buon mercato, ma piuttosto, come avevo promesso, un ragionamento strettamente politico. Fatto con la consapevolezza che, se non si ragiona politicamente, non solo non si capisce fino in fondo la “realtà effettuale”, ma si rischia di restare sorpresi dalle novità che la politica di qui a un anno sempre più ci riserverà
Corrado Ocone, 21 marzo 2021