La verità sulla rete unica

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Ma è necessario, o anche solo opportuno, fare la Rete Unica? Per dotare l’Italia di un’infrastruttura terrestre a banda larga e alta velocità gran parte del mondo politico da tempo ritiene che i due attuali operatori di rete, Tim e Open Fiber, dovrebbero mettere in comune i propri asset di rete e creare un’unica società. Risparmio dei costi e accelerazione dei tempi sono indicati come motivi cogenti dell’operazione. Tuttavia, se si guarda il tema su scala europea o se si tiene conto delle notevoli valutazioni fatte di recente sia per la rete di accesso di Tim sia per Open Fiber, le ragioni a favore della Rete Unica appaiono forse un po’ meno cogenti.

La rete in Europa

In Europa la gran parte degli Stati hanno reti nazionali di accesso al broadband in competizione fra loro e ciò ha dimostrato di favorire l’aggiornamento tecnologico. In corrispondenza la Commissione ha consolidato ormai da vent’anni un’impostazione che nella concorrenza fra infrastrutture vede la via maestra per tenere il passo dell’innovazione.

In Italia Open Fiber è creata nel 2016 su sollecitazione del Governo – via Enel – appunto per stimolare la competizione, fare pressione su Telecom e accelerare gli investimenti. La nascita della nuova società introduce discontinuità nell’ambito delle reti tlc: rompe il quasi monopolio dell’accesso e riporta nel settore la mano pubblica cui è assegnata come missione lo sviluppo delle infrastrutture. Circa venti anni prima, nel 1995, lo Stato italiano si era mosso in direzione opposta: aveva privatizzato Telecom, era uscito dalle tlc e aveva abbandonato un vasto e ambizioso programma di investimenti (il Progetto Socrate).

In quasi cinque anni la competizione delle infrastrutture mostra un bilancio positivo. L’ex monopolista accelera gli investimenti in tecnologia, scorpora la rete dell’accesso e la porta in una nuova società (FiberCop) per la quale ottiene dal fondo americano Kkr, che ne acquista il 37,5%, una valutazione globale pari a 7,7 miliardi di euro. Anche Open Fiber ha costruito valore: il fondo australiano Macquarie offre per il 50% del capitale detenuto da Enel 2,65 miliardi al netto dell’indebitamento (valore d’impresa circa 7,3 miliardi). Enel prende tempo, perché forse pensa a valutazioni ancora più elevate. Le società che vendono servizi di telecomunicazioni, cui da poco si è aggiunta Sky, preferiscono, com’è naturale, una situazione con più fornitori. Morale: operatori di rete in crescita di valore, vivaci programmi di investimento, clienti soddisfatti, normativa Ue rispettata.

Svantaggi della Rete Unica

La Rete Unica porterebbe miglioramenti? A prima vista si notano piuttosto alcuni seri svantaggi. Anzitutto, gli interessi dei principali soggetti in gioco – Tim, Open Fiber, Cdp – non sono affatto allineati. Tim vuole mantenere la maggioranza delle azioni in AccessCo, la società che nascerebbe dalla fusione di FiberCorp e Open Fiber: la rete dell’accesso è il suo asset più importante e perderne il controllo implica conseguenze negative – finanziarie e di mercato. Open Fiber vuole valorizzare gli investimenti fatti e una storia che dichiara di successo. Cdp è preoccupata per una governance che si annuncia barocca e forse teme di dover pagare troppo per avere peso.

In secondo luogo il passaggio (pianificato) dalla competizione al monopolio è un evento piuttosto curioso: di solito avviene il contrario. Nel 1997 la legge Maccanico crea l’Agcom appunto per assicurare un’ordinata transizione dal monopolio al mercato competitivo. In terzo luogo spiegare la riduzione di concorrenza alla Commissione non è facile: è vero, siamo in tempi di campioni nazionali e – dopo la bocciatura della fusione Siemens/Alstom – i ministri dell’economia di Germania e Francia hanno firmato un Manifesto in cui si dice che è ora di aggiornare i criteri per decidere su fusioni e acquisizioni (nonché per valutare gli aiuti di Stato), tuttavia l’idea della competizione infrastrutturale finora in Europa ha funzionato.

Alla fine il vero argomento a favore della Rete Unica è solo uno: il monopolio razionalizza i costi e quindi crea più spazio per gli investimenti. Ma la domanda diventa: perché il monopolio, una volta installato, dovrebbe accelerare la costruzione di infrastrutture? Di solito non accade. Una risposta può essere: perché tale è la volontà politica.

Però, come sappiamo bene, gli input di politica industriale (perché di ciò stiamo parlando) sono intermittenti, volatili e i modi con cui un operatore può eluderli, traccheggiando, sono tanti. La competizione, se gli operatori sono sani, è meglio.

Antonio Pilati, 27 settembre 2020

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