Piccola premessa. I virologi devono essersi dimenticati di ciò che hanno predicato per giorni, mesi, anni durante la pandemia: di virus parlano gli scienziati, non chi non ha i titoli accademici per farlo. Una volta scemata l’onda del coronavirus, e scomparso il morbo dalle prime pagine dei giornali, le virostar si sono dovute riciclare un po’ come tutti gli italiani: allenatori di calcio quando gioca la nazionale, esperti di geopolitica quando Putin invade l’Ucraina e ovviamente all’occorrenza pure climatologi. Ma non dovevano esprimersi solo i competenti in ogni materia? Sorvoliamo.
Come saprete, la crisi dell’energia dovuta al conflitto avrà come prima delle conseguenze la riapertura delle centrali a carbone. Lo ha annunciato Mario Draghi in Parlamento: scelta pragmatica, che fa il paio con la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e la riduzione dei consumi. Una decisione che però all’immunologa Antonella Viola non piace nemmeno un pochino. Tant’è che oggi ha preso carta e penna per scrivere sulla Stampa tutta la sua avversione per questo “campanello d’allarme” sul “carbone che minaccia la salute”.
Già prima dell’invasione stavamo scontando rincari al prezzo dell’energia da record: le aziende avevano fame d’energia per sostenere la produzione post lockdown e non esistono risorse green sufficienti a soddisfare l’economia globale. Poi è arrivata “l’operazione speciale” a Kiev e la crisi s’è trasformata in tragedia. Le aziende pensano ai costi che dovranno sostenere, ovviamente, con tutti i rischi occupazionali del caso. La Viola invece no: fissa lo sguardo sul “catastrofico” futuro dell’ambiente, su cui il carbone ha un “altissimo impatto” negativo. In sintesi: per l’immunologa, la “tragedia” ucraina sta dando il via ad un “insostenibile dietrofront” nell’obiettivo di ridurre l’emissione dei gas serra. “Uno studio dell’Agenzia europea dell’ambiente – scrive – ha stimato che le centrali a carbone sono responsabili, nella sola Europa, della morte di 23.000 persone ogni anno”.
Bene. Quale soluzione propone, dunque? Se il gas non possiamo prenderlo da Putin perché costa troppo, se il carbone no perché inquina, se il nucleare nemmeno a parlarne causa referendum, se le rinnovabili non bastano ad accendere un forno delle fonderie, che cosa facciamo? Magari potremmo rinviare di un pochino la “transizione energetica” per attendere tempi migliori. Ovviamente no. “Le scelte dei governi devono essere sostenibili, nel breve così come nel lungo temine – sentenzia Viola – e la scelta di riaprire le centrali a carbone non lo è”. Dunque ecco il colpo di genio: “Puntare a efficienza e risparmio” di luce e gas. In che modo? Con una sorta di lockdown energetico in stile coronavirus. “Se durante la pandemia abbiamo obbligato gli italiani a restare chiusi in casa per mesi, perché in una situazione di emergenza energetica non chiedere loro di risparmiare energia? Spero con tutto il cuore di non sbagliarmi, ma credo che gran parte degli italiani preferirebbero consumare meno, fare qualche rinuncia in più, piuttosto che rivedere attive le centrali a carbone, per quanto moderne e meno inquinanti di una volta”.
Piccola nota a margine. Non servono dpcm per indurre le famiglie a consumare di meno: coi prezzi attuali gli italiani spegneranno il riscaldamento prima possibile. È la legge del mercato. Ma forse Viola dimentica due aspetti. 1) A pagare la mancata riapertura delle centrali a carbone, e dunque di energia a basso costo, sarebbero le famiglie più povere. Per quanto si voglia tirare la cinghia, alcune spese restano fisse: la luce per cenare serve sempre. A ricchi l’aumento di un’ora di lampadina potrà scocciare un po’, per i poveri sarà un disastro. 2) Non tutte le aziende possono “risparmiare energia”: la panetteria il forno deve portarlo alla temperatura necessaria, altrimenti la pagnotta non si cuoce. Può chiudere prima? Certo, ma se il fornaio riduce il tempo di produzione, riduce il prodotto, vende di meno e magari va in fallimento. Non ci pare una grande idea.