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Gli italiani e la vocazione della furbizia - Seconda parte

Il furbo, in fondo, che cos’è se non un presuntuoso? Crede di tenere tutto e tutti sotto controllo. Crede di sapere ciò che gli altri non sanno, di capire ciò che gli altri non capiscono. Crede di essere il signore del mondo. Poi, non si sa come, non si sa perché, ma qualcosa va storto. Le cose non vanno come sarebbero dovute andare secondo furbizia. E allora si capisce, se prevale la parte fessa che c’è in ognuno di noi, che la furbizia è un atto di superbia e, ancor più, è la debolezza della coscienza morale.

Non saprei a quale delle cinque categorie di don Mariano Arena, boss de Il giorno della civetta, al quale Leonardo Sciascia fa pronunciare la famosa frase rivolta al capitano dei carabinieri, Bellodi  – “Io divido l’umanità in cinque categorie: ci sono gli uomini veri, i mezzi uomini, gli ominicchi, i piglianculo, i quaquaraquà” –  far rientrare l’uomo vocato alla furbizia ma, forse, qualcosa mi dice che il furbo che crede di essere il più furbo di tutti rientra nella categoria dei piglianculo, non foss’altro perché conosce a sue spese le conseguenze della furbizia. Sono gli inconvenienti della vocazione.

Ma l’espressione più tipica del furbo ci è data dalla terza legge della stupidità umana codificata da Carlo Maria Cipolla: “Una persona stupida è chi causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita”. Questa è la vocazione della furbizia.

Giancristiano Desiderio, 30 maggio 2019

 

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