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L’abracadabra di Conte

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In Italia si muore per le malattie, di vecchiaia e di retorica. La retorica italiana è mortale. Il presidente del Consiglio, che appare ormai in televisione per i suoi discorsi alla nazione italiana ogni tre giorni, come se fosse Massimo Giletti o Amadeus, ha una capacità retorica molto, molto bassa. L’altra sera è riuscito a parlare di “potenza di fuoco”, di “provvedimento poderoso”, di “ritorno della primavera” e ha perfino usato un luogo biblico, naturalmente stravolgendolo e sbagliandolo in modo grossolano.

E, tuttavia, ha ragione lui. Sì, ha ragione lui, perché il momento è quello che è e non è il caso di mettersi a fare la maestrina con la penna rossa. Ciò che colpisce, però, della potenza di fuoco del vocabolario del professor Conte è la sua anemia. Le sue parole sono stanche e insieme pompose e, soprattutto, ripetitive e suonano un po’ come il verso del somarello che si loda da solo. Che grande differenza che c’è tra questo sir Winston di Volturara Appula e la regina Elisabetta che con grande sobrietà nei modi, nelle parole e nei tempi si è rivolta agli inglesi e alla nazione con semplicità, verità, umanità.

Perché noi non siamo in grado di fare altrettanto? Perché il nostro discorso pubblico non riesce a poggiare nemmeno nei momenti cruciali su un po’ di decente verità? È da questo difetto di verità che dipende lo scarso livello della retorica italiana. Anche nei momenti difficili non riusciamo a dirci la verità e preferiamo nascondere l’elemento tragico che attraversa inevitabilmente la vita e la vita nazionale con la commedia. Come se, guardandoci allo specchio, avessimo paura di noi stessi.

Ancora una volta il capo del governo è apparso in televisione e ha parlato dei provvedimenti di un decreto ancora non esistente. È ormai chiaro: non è un errore ma una strategia che oltre a essere l’effetto dei contrasti della maggioranza – che litiga sui soldi mentre il funereo Borrelli dà ogni sera le cifre dei morti – è anche il risultato della furbizia populista che usa la comunicazione per far immaginare agli italiani che dal cielo scendono soldi come Dio fece cadere dall’Alto la famosa manna per il popolo d’Israele ormai giunto alle pendici del Monte Sinai dopo la schiavitù in Egitto. Siamo, dunque, noi in schiavitù o in cattività? Beh, di questo dobbiamo ringraziare proprio il governo il quale, però, presentandosi a noi come una divinità ci dice che il suo provvedimento è stato non solo necessario ma anche provvidenziale perché in questo modo sono state salvate vite umane a migliaia.

Naturalmente, non c’è nessuna prova e il governo può dire in modo poco serio ciò che vuole proprio perché non c’è nessuna prova. Mentre ciò che sappiamo con certezza è che l’obiettivo primario del governo era non appesantire e non far crollare il sistema ospedaliero. Un obiettivo certamente valido per ricorrere a misure speciali ma anche un obiettivo che poteva essere perseguito facendo scelte diverse e, soprattutto, senza far credere che la strada governativa era necessaria, migliore e indolore dal momento che l’Italia ha il non invidiabile primato dei morti, dei contagi, dei debiti.

Ma l’altra strada poteva essere imboccata con successo? Ossia si poteva evitare di chiudere tutto per legge – cioè per obbligo e non per indicazione e poi scelta individuale – e puntare sul controllo dell’epidemia tramite la sorveglianza attiva territoriale, nonché sulla stessa esperienza diretta degli uomini e delle donne capaci di intendere e di volere e di decidere secondo prova ed errore della loro vita?

E se si fosse fatta questa scelta, praticata da altre nazioni e altri Stati, sia europei sia asiatici, avremmo avuto risultati migliori? Anche in questo caso non c’è prova storica e, dunque, si può dire ciò che si si vuole lasciando il tempo trovato come si fa con l’immaginazione.

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