Chi vuole ripassarsi la storia della privatizzazione Alitalia, dal Governo Prodi, poi Berlusconi e giù giù fino a quelli Renzi e Gentiloni vada su Wikipedia: il riassunto dei fallimenti è riportato in modo garbato. Il contributo dei celebri supermanager privati (persino australiani!) è stato nullo, l’unico numerino in basso a destra era drammaticamente rosso prima, è rimasto drammaticamente rosso dopo il loro intervento. Non dobbiamo stancarci di ripetere che, in qualsiasi disciplina, i “competenti” devono essere sempre giudicati non dalle teorie, dai curricula, dalle chiacchiere (secondo costoro ogni problema ha una sola soluzione ottimale: la loro), ma da execution e risultati. Che è rimasto del passaggio di costoro in Alitalia? Nuove divise per piloti, steward, hostess.
E ora i giallo-verdi vogliono ritornare alle origini: nazionalizzarla. Allegria! A nessuno è passato per la testa che quando si è falliti si portano i libri in Tribunale? Il fallimento è sempre da imputare ai manager: i danni sono identici, la differenza è che quello privato è più supponente e costa di più di quello pubblico. Comunque, l’ufficialità della nazionalizzazione l’avremo a metà settembre, quando ci sarà la due diligence e l’ennesimo nuovo piano strategico. E’ una finzione, fa parte di una grande sceneggiata predisposta a tavolino da politici, potenziali azionisti, tecnici, advisor. Per fingere ci fosse una gara, e poter scegliere Atlantia fra più concorrenti (sic!), hanno tirato fuori dal cilindro Avianca, la Lazio, Toto.
Apro una parentesi. Questa mi ricorda la grande sceneggiata di FCA per tagliare la corda dall’Italia senza pagare pegno. Ricordate l’innamoramento dei salotti Ztl per Sergio Marchionne? Quando, alla fine, trasferì la “ciccia” a Detroit e Torino divenne una città museale a scartamento ridotto, e tutti tacquero ossequiosi? Gli otto piani industriali di FCA, uno all’anno (sic!), resi immortali dal libro di Marco Cobianchi, ricordano quelli di Alitalia. Erano chiacchiere e fuffa, però con un secondo scopo. Il modello Alitalia sarà il piano “Fabbrica Italia con il mitico e tanto strombazzato investimento da 20 miliardi € senza ci fossero né i prodotti, né i clienti, né i 20 miliardi? Il libro “FCA remain o exit?” ([email protected], 10 €) è utile per capire il caso Alitalia. Due esempi eclatanti di fake truth in purezza, dove pubblico e privato si incontrano per gabbare i cittadini.
Torniamo ad Alitalia. Il film è già pronto, il copione scritto, il cast scelto, il finale definito. Si tratta di fare le riprese. Una certezza: nell’arco di qualche anno gli italiani perderanno un altro miliardino, che andrà ad aggiungersi agli altri 8 già evaporati, da Prodi in giù. E non potranno più rivalersi su Atlantia per il Ponte di Genova, perché salvatrice della patria celeste.
I due azionisti statali (FS-MEF), che hanno la maggioranza della nuova Alitalia, della due diligence settembrina se ne fanno un baffo: non sono manager ma funzionari dello Stato agli ordini dei Ministri di competenza (si fa per dire), quello dei Trasporti, quello dello Sviluppo, quello del Tesoro. Lo stesso vale per i cosiddetti azionisti privati, Delta e Atlantia. Lo scopo vero dell’interesse di uno è di mettere un cip per bloccare un concorrente europeo (Lufthansa?). L’interesse dell’altro è evitare la perdita di un contratto di concessione pieno di pepite d’oro. Chi crede che questa furbata non sia un’imbarazzante transazione, si accomodi.