I nodi vengono sempre al pettine. E ne verranno fuori sempre di più cammin facendo. Domani il premier Attal rassegnerà le dimissioni nelle mani di Macron il quale, non sapendo come governare il caos da lui creato, si chiude nel silenzio forse nella speranza che la notte porti consigli. O, almeno, che permetta di chiarire i contorni del governo che verrà.
Perché il risultato di oggi dice senza ombra di dubbio che il Fronte Popolare e i macroniani, a forza di desistenze, sono riusciti a fermare l’avanzata di Marine Le Pen e Jordan Bardella. Il Rassemblement National è solo terzo, dietro la sinistra radicale e anche dietro al redivivo macronismo. Il problema è non solo che centristi e Fronte Popolare si considerano reciprocamente come il diavolo e l’acqua santa, ma anche che all’interno della compagine di sinistra siamo già alla frattura.
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Fermata Le Pen, infatti, arriva la parte più difficile: formare il governo. E i “desistenti” tutto sono tranne che d’accordo. Anzi. Nel Fronte Popolare ad esempio già si scannano: se Mélenchon spara alzo zero contro il presidente che “deve inchinarsi e accettare la sconfitta”, affermando che “nessun accordo” con Macron “sarebbe accettabile”; gli altri membri della coalizione, da Glucksmann ai socialisti, sono più propensi a cercare un patto coi centristi. Il leader di Place Publique è convinto che di fronte ad una “Assemblea divisa” i partiti debbano “comportarsi da adulti” e quindi “parlare, discutere e dialogare”. Più o meno della stessa idea anche il leader del Partito socialista, Olivier Faure, il quale si è detto pronto “a prestarsi a qualsiasi coalizione”. Anche i comunisti e i verdi, a quanto pare, sarebbero aperti alle trattative.
Al centro, intanto, iniziano le manovre per escludere gli estremi. L’ex premier Edouard Philippe immagina di poter tenere fuori dal palazzo del potere sia Rn che la France Insoumise. Per il leader del partito presidenziale Rinascimento, Stéphane Séjourné, il blocco repubblicano presenterà “le precondizioni” per qualsiasi discussione ed è “escluso che Mélenchon e un certo numero di suoi alleati” radicali “possano governare la Francia”. Ma la domanda è: ci sono i numeri per governare tenendo fuori dalla porta la destra estrema e la sinistra antisemita?
Difficile dirlo, almeno finché l’Assemblea non sarà formata nella sua interezza. Di sicuro, per formare un esecutivo, anche tecnico, bisognerà dare la caccia voto per voto. Un po’ come succede in Italia ad ogni crisi di governo. Uno sguardo i macroniani dovranno darlo anche a destra, verso i gollisti, pure loro divisi tra chi ha appoggiato Eric Ciotti con Le Pen e chi invece non ha accettato l’alleanza col RN. Gérald Darmanin, ministro dell’Interno uscente, in teoria centrista, chiede “un governo di destra” ed esclude “coalizioni con Mélenchon o il Fronte Popolare”. Piccolo problema: Laurent Wauquiez, esponente di spicco dei Repubblicani, fa sapere che i gollisti non parteciperanno ad alcuna “coalizione” , rifiutando “combinazioni per costruire maggioranze contro natura” .
Per dirla con le parole di Attal, l’unica cosa certa è che stasera “nessuna maggioranza assoluta può essere guidata dagli estremisti”. Come verrà formato il governo, tuttavia, è un mistero.