L’accusa, o la provocazione, è di quelle forti. Pubblicata sul Fatto Quotidiano di oggi, pagina 12. Titolo del pezzo: “Tutto ciò che la stampa prona non dice di Draghi“. E va beh, se è per questo basta ricordare la òla che gli hanno tributato a suon di battiti di mani quando è entrato nella sala per la conferenza stampa di Natale. Ma all’interno dell’articolo, Ivo Caizzi aggiunge qualcosa di più. Ed è quello che rende l’accusa decisamente più aspra.
“Il premier Mario Draghi, appoggiato dal ‘governo dei migliori’ – si legge nell’incipit – ha usato il denaro pubblico per influenzare o magari addirittura ‘comprare’ il consenso degli editori dei principali organi d’informazione e dell’élite dei giornalisti?”. L’autore del pezzo fa scaturire questa domanda “come logica conseguenza di fatti incontestabili”. Quali? Le riportiamo così come elencate, per assicurare completezza d’informazione:
1) “Tanti giornali italiani (escluso il Fatto) hanno celebrato Draghi ‘a priori’ e a oltranza, da quando è stato imposto a Palazzo Chigi pur senza avere avuto il consenso degli elettori”.
2) “Gli editori degli stessi organi d’informazione hanno sostenuto questa esaltazione di un tecnocrate della grande finanza, pur senza esperienza in cariche politiche e con un passato non privo di segreti e ‘ombre'”.
3) “I giornalisti più pagati avevano implorato il governo di salvare le loro ‘pensioni d’oro’ dal crollo della cassa Inpgi 1, che pretesero di privatizzare per godere di un sistema privilegiato rispetto a quello pubblico Inps”.
4) “Gli editori percettori di erogazioni pubbliche e disinvolti spremitori dell’Inpgi 1 (per tagliare i costi con i prepensionamenti) avevano chiesto ulteriori aiuti di Stato”.
5) “Draghi e il suo governo hanno stanziato 350 milioni di fondi pubblici per gli editori, che possono beneficiare di contributi statali aggiuntivi”.
6) “Il premier ha salvato le ‘pensioni d’oro’ dell’élite dei giornalisti, incurante del parere negativo della Corte dei conti e senza nemmeno un ricalcolo”.
Per carità: lungi da noi arrivare ad una qualsiasi conclusione. Per ora il “megascandalo”, come lo chiama l’ex corrispondente da Bruxelles del Corriere, non c’è. Per Ivo Caizzi però “Draghi dovrebbe chiarire se, da questi presupposti, può essere scaturito un ‘do ut des‘ tra la sua celebrazione mediatica e i fondi pubblici agli editori e ai giornalisti più pagati”. E magari spiegare se questo abbia favorito o meno “la sua ambizione personale” di salire al Quirinale.
“Un contesto mediatico opaco, omertoso e collusivo – aggiunge Caizzi – può impedire ai cittadini di conoscere informazioni fondamentali. Mentre dovrebbe bastare che un blog riveli una notizia critica su Palazzo Chigi per vederla rilanciata da tutti i media”. E ancora: “Nella corsa per il Quirinale non sta emergendo nemmeno che Draghi potrebbe essere percepito – per le sue politiche da Robin Hood al rovescio’ – come un tecnocrate divisivo da milioni di italiani poveri o disoccupati. Né che, dietro ai suoi segreti alla Goldman Sachs e nelle lobby riservate, potrebbero celarsi patti e conflitti d’interessi incompatibili per un capo dello Stato”.