Ci sono dei termini, delle locuzioni, che racchiudono in se stessi un mondo di conformismi. Quando sentite qualcuno che vi parla di «resilienza» o di «inclusività», scappate, cambiate salotto: state per sentire delle banalità o peggio un imbroglio. Quando si dice che le imprese dovrebbero essere resilienti è come quando si dice ad un malato: cerca di stare bene. Sai che consiglio.
Da qualche giorno sulla seduta del conformismo ha preso posto l’«Agenda Draghi». È diventato un modo di dire, un passe-partout per risolvere i problemi dell’Italia. Non si sa bene cosa ci sia dentro questa benedetta agenda, ma è diventata una parola magica. Un vecchio detto ebraico dice: «Se vuoi far ridere Dio, raccontagli i tuoi progetti». Qui siamo un passo indietro. L’Agenda Draghi non è neanche un progetto, non ha date, non ci sono punti precisi di un programma, è una categoria dello spirito. Eppure chi si ribella all’Agenda non è serio, non ha capito come risolvere le questioni fondamentali di questo Paese.
E poi mentre sfogli questa mitica agenda, ti capita di vedere un video girato a Milano. Stazione Centrale. Pieno giorno. Due immigrati se le danno di santa ragione: e uno di loro, minorenne, viene ripreso insanguinato e scalciato come un animale mentre geme a terra. Pochi mesi fa al Duomo, nel giorno di Capodanno, un gruppo di immigrati, probabilmente di seconda generazione, consumano quel rito barbaro di circondare e molestare delle giovani ragazze che erano finite nel centro della città più ricca d’Italia per festeggiare la fine dell’anno. Poco prima su un treno, sempre milanese, due ragazze sono state violentate da due delinquenti. Un giorno sì e uno no, si parla dei raid delle baby gang, che, come dice giustamente l’avvocato, Annamaria Bernardini de Pace, non abbiamo più il coraggio di chiamarle con il loro nome: teppaglia di minorenni delinquenti. E la storiaccia si ripete in molte delle nostre grandi città.
La sicurezza, l’immigrazione, non è contenuta in nessuna pagina delle mitiche agende Draghi. Per il semplice motivo che la sicurezza è roba che alla sinistra ancora non va giù. Sa di autoritarismo, di stato di polizia, è troppo popolare. Come diceva il grande Sergio Ricossa: «La sinistra dice di amare il popolo, come astrazione, ma proprio non sopporta il suo odore». Eppure l’insicurezza, come l’inflazione, sono malattie che si devono prevenire. La corsa dei prezzi di oggi è figlia delle folli scelte monetarie di ieri. Così come l’insicurezza è il risultato di politiche immigratorie che pensano solo alla prima accoglienza e delegano tutto il resto del percorso al mercato delinquenziale dei ghetti di periferia.
Nicola Porro, Il Giornale 25 luglio 2022