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La caccia all'evasore

L’Agenzia delle Entrate: evasori ai lavori (forzati?) per ripagare i debiti

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Prima nota positiva: il direttore dell’Agenzia delle Entrate, ergo del Fisco, non intende sbattere 19 milioni di italiani in cella. Deo gratias. Innanzitutto perché sarebbe più costoso mantenere in galera i debitori rispetto al gettito che spereremmo di recuperare. E poi perché anche solo l’idea che l’esattore maximo sogni di ammanettare i contribuenti, beh: farebbe paura anche al regime talebano.

Ieri Ernesto Maria Ruffini, al Festival Internazionale dell’Economia, ha presentato la sua ultima fatica letteraria (non era il 730 pre-compilato). Tra una cosa e l’altra, ha spiegato perché “non conviene mettere tutti in cella”, ha fatto sapere che il Fisco ha “individuato” tutti gli evasori e che le tasse sono utili. Poi in un’intervista a La Stampa s’è lasciato andare ad una frase ambigua e un po’ angosciante. Visto che incarcerare 19 milioni di persone che hanno debiti col fisco non si può, allora meglio “farli lavorare finché non ripagano la collettività”.

Ora, letta così potrebbero apparire come una sorta di lavori forzati che lo Stato impone per costringere l’evasore a ripagare il suo debito col fisco. Ci auguriamo Ruffini intendesse dire che, anziché far chiudere l’impresa al contribuente incarcerato, sarebbe meglio lasciarlo in attività e indurlo a versare mese dopo mese quanto non fatto in passato. In entrambi i casi, il vero problema è che “il sistema ideale” del direttore dell’Agenzia è quello in cui un presunto evasore “viene intercettato e deve per forza versare quanto non ha dato”. Applausi. Bene. Bis. Peccato che il ragionamento di Ruffini risulti fallace per due semplici motivi.

Primo: perché si riduce a tagliare la realtà con l’accetta. Immagina un mondo diviso in due: da una parte i solerti dipendenti (pubblici e privati) che pagano regolarmente le tasse (grazie al cavolo, vengono trattenute in busta paga); dall’altra imprenditori, partite iva e autonomi cattivoni che per abbuffarsi a più non posso truffano l’Erario appena possibile. Visione parziale. E pure infantile. Che non tiene conto del fatto che quei 19 milioni di persone non sono un’ordalia di incivili, carichi di Ferrari e dediti a serate a suon di champagne e caviale. Si tratta in larga parte di classe media, piccole e medie imprese o partite iva. Gente che a fronte di un investimento proprio fatica a sbarcare il lunario senza la garanzia del posto fisso. E che magari si trova costretta a contrarre un debito col Fisco perché se versasse ogni singolo euro di tasse finirebbe col chiudere l’azienda.

Il secondo buco nel ragionamento di Ruffini è banale. E lo riassumiamo così: anziché immaginare metà dei contribuenti come dei criminali, non si potrebbe spostare lo sguardo a monte? Il nostro cuneo fiscale è 10 punti sopra la media europea, il che significa anche costi extra per le imprese. Le aliquote Irpef sono elevate. E poi Iva, Imu, Ires, Irap, Tari, Canone Rai, imposte di registro e bolli vari. In sintesi: per convincere un po’ di quei 19 milioni di contribuenti a pagare tasse e imposte, non potremmo pensare di abbassarle un po’?

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