Se non vi piacciono i western, e siete di quelli che in fondo John Wayne e i cactus non vi fanno impazzire, dovete leggere un grande classico del western. Un amico fidato, in temi di lettura, mi ha messo nelle mani le quasi mille pagine di Lonesome Dove, un bestseller anni Ottanta di Larry McMurtry, recentemente ripubblicato da Einaudi, con un consiglio dritto: «Supera le prime duecento pagine e poi ti piacerà». E ancora: «Non prendere il seguito perché si tratta di una delusione». Consigli che condivido talmente da dover riportare senza fronzoli.
Ma andiamo alla trama: che poi è sempre la stessa. Una banda di Texas Rangers, a metà tra cialtroni e coraggiosi, smettono le pistole per fare commercio di bestiame. Convinti da un loro vecchio compagno, si spostano per le deserte pianure del West fino ad arrivare nella Terra, considerata promessa, del Montana. Una pattuglia incredibile di cowboy, prostitute, cuochi e sceriffi incapaci si aggira per un territorio che oggi è diventato il più florido del mondo, ma che allora e cioè verso la fine dell’800, a noi Europei doveva sembrare preistoria.
Certo il libro ha una sua coerenza narrativa: c’è la malinconia di un mondo che era finito, la battaglia mai terminata contro i nativi indiani, un disperato amore che viaggia nel tempo e per le pianure. E ancora la descrizione di un territorio a noi lontano, ma così pieno di natura da spaventare: la scena dei cavalli e dei cowboy uccisi nel traversare il fiume da un attacco di serpenti fa venire i brividi. Così come c’è il senso della giustizia, che va oltre la legittima difesa. Gli amici che decidono di impiccare il loro vecchio compagno di armi, perché ha rubato un cavallo e ha assistito a un omicidio: lo fanno senza alcuna autorità, senza alcuna stella, solo perché la legge da quelle parti, così come oggi, è common law e non procedura. E le donne. Che sono forti nella scelta del loro destino, quando accudiscono il marito in fin di vita, quando cercano il vecchio amore grazie alla compagnia di improbabili cacciatori di bisonti, che non ci sono più, quando si prostituiscono con ragazzini che non sanno neanche lontanamente cosa il sesso sia. Ma che sono anche deboli, debolissime, in un mondo in cui la forza fisica ha ancora un peso.
E poi pensi che in quegli anni, poco dopo per la verità, Proust ci racconta di Swann e del caso Dreyfus. Da una parte gli indiani dall’altra gli ebrei. Da una parte le prime città fatte di polvere e baracche, dall’altra i palazzi e i salotti. E poi pensi di capire l’America perché sei stato a New York o da Zuma a Miami. E critichi Trump e vedi quelle foto di morte e disperazione sul Rio Grande e non capisci che pur vivendo nello stesso mondo, pur condividendo lo stesso smartphone, veniamo da storie diverse. Con culture e cicatrici diverse.
E in questa favolosa, ma tremenda globalizzazione, ritieni di poter mettere tutto sullo stesso piano, il Rio Grande con il Tevere o la Senna. Un errore clamoroso. Come quell’insegna di «Lonesome Dove», scritta in un latino che nessuno, da quelle parti, poteva capire.
Nicola Porro, Il Giornale 30 giugno 2019