“Lampioni accesi la notte: soffrono le piante e le foglie sono meno appetibili per gli insetti”, questo il titolo di un articolo pubblicato su la Repubblica da Sara Carmignani.
Si tratta di una sorta di incitamento a lasciare le nostre città al buio nelle ore notturne, infischiandosene degli aspetti legati alla sicurezza, basato su uno studio piuttosto limitato ad opera di gruppo di ricercatori della Chinese Academy of Sciences di Pechino. Costoro sembra che abbiano analizzato le foglie di due specie arboree molto diffuse nelle città cinesi. Ebbene, i risultati della ricerca, pubblicati su Frontiers in Plant Science, dimostrerebbero che le piante esposte a un maggiore inquinamento luminoso tendono ad avere foglie più spesse e ad essere meno appetibili per gli insetti.
In particolare, gli autori di questo surreale studio hanno raccolto oltre 5mila foglie da 180 piante diverse, appartenenti a due specie: la Styphnolobium japonicum e la Fraxinus pennsylvanica. I campioni sono stati prelevati da 30 siti diversi, distanti almeno 100 metri uno dall’altro e sottoposti a un livello di illuminazione artificiale più o meno elevato. In estrema sintesi, secondo i ricercatori “le foglie prelevate dalle piante esposte a un più alto livello di inquinamento luminoso sono risultate essere più spesse e caratterizzate da una minore quantità di segni legati alla masticazione degli insetti.”
Secondo il direttore del gruppo scientifico, Shuang Zhang, “il meccanismo alla base di questo pattern non è ancora del tutto chiaro. È possibile – aggiunge – che gli alberi esposti alla luce artificiale di notte prolunghino la durata della fotosintesi. Inoltre, queste foglie potrebbero destinare una maggiore percentuale di risorse a composti strutturali, come le fibre, che potrebbero portare a un aumento della resistenza delle foglie”.
Quindi, in contrasto con il titolo dell’articolo, ci troviamo nel bel mezzo del mare magnum delle ipotesi in cui domina incontrastato il nemico di tutti gli scienziati dogmatici: il principio di falsificabilità. Come infatti scrisse Albert Einstein in una celeberrima lettera inviata Max Born quasi cento anni orsono, “Nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato”.
E dato che, a quanto si sa, non v’è notizia di altri analoghi studi sugli effetti del presunto inquinamento luminoso su piante e insetti, le interlocutorie conclusioni dei suoi autori, che sembrano esprimere più dubbi che certezze, non dovrebbero autorizzare qualche amministratore locale, in trance etico-ambientalista, a ridurre ulteriormente la già scarsa illuminazione notturna, trasformando le loro città in piacevoli ritrovi notturni per ogni categoria di malintenzionati.
Evidentemente Repubblica, al tempo membro autorevole del cosiddetto giornale unico del virus, sente ancora molto forte la nostalgia della silenziosa e oscura desolazione instaurata durante la lunga epopea delle restrizioni sanitarie.
Claudio Romiti, 23 agosto 2024
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