Siamo alla guerra delle lettere. Lui, che a dispetto della sua “maniacale riservatezza” scrive una missiva alla Stampa per spiegare che gli è costato molto “lasciare” l’ex amata ad un party pubblico di fronte a decine di invitati. E lei che risponde rompendo “il mio riserbo” (escluse le interviste dei giorni scorsi, s’intende) dopo “giornate di disagio che mi hanno molto provata”. Il caso Segre–Seymandi, che ormai occupa le cronache e riempie le giornate dei lettori sotto l’ombrellone, arriva ad una svolta. L’ennesima. Dopo il video, dopo le interviste, la caccia ai presunti amanti e i particolari di quella indimenticabile serata, Cristina risponde a Massimo dalle colonne del Corriere della Sera.
“Ieri mattina (il 15 agosto, ndr) ho potuto leggere una lettera di Massimo Segre“, scrive la Seymandi lamentandosi per l’eccessiva evidenza data “alla mia vita e al nostro comune percorso insieme”. “Massimo, in quella grande, disorientante, pagina di giornale parla molto di sé stesso: sostiene che ‘non vi è violenza nell’affermare la verità pubblicamente’, riferendosi alla decisione – quella di mettere in piazza il nostro privato – che forse ha preso, quella sera del 27 luglio, convinto dai discorsi di chi – accanto a lui – non ha mai voluto la nostra felicità, ma ha solo desiderato ‘distruggere'”.
Nella lettera alla Stampa, Segre aveva citato l’anello di fidanzamento “di proprietà di sua mamma” che avrebbe suggellato la promessa di nozze e dunque di fedeltà che Seymandi avrebbe infranto. “Anello al quale ero affezionatissima – assicura l’avvocato – come ad una delle mie cose più care, misteriosamente sparito (guarda caso) da casa nostra 15 giorni prima di quella tristissima serata salita agli onori delle cronache, a riprova, forse, che c’è chi la vendetta la programma minuziosamente, e perversamente, con largo anticipo”.
Seymandi fa capire che l’infedeltà sarebbe stato un peccato commesso anche da Segre, sebbene non lo dica apertamente. Perché “se i mass-media si aspettavano mie risposte piccate, repliche inacidite o addirittura vendette, così da alimentare il gossip estivo un’uscita dopo l’altra, saranno stati delusi: le parole chiave per me sono state, nell’immediato, «sconcerto» e «incredulità», e, successivamente, «delusione», «amarezza», «dolore»”.
Per questo Seymandi attraverso le pagine del Corsera fa “un appello” a “tutti gli uomini e donne che in futuro si troveranno nella situazione di poter decidere se divulgare o no fatti privati di una persona, per vendetta, per voglia di riscatto o per ‘dare la propria versione dei fatti’, ponendo però inevitabilmente l’altro in una condizione di inferiorità, di umiliazione e di dover patire una violenza psicologica“. L’avvocato si mette nei panni “di una ragazza o un ragazzo di 20 anni” magari “più fragili di me”: “Quale sarebbe stato l’impatto sulla vittima destinataria della gogna mediatica?”. Denuncia di aver ricevuto minacce e insulti, simbolo di una presunta “mascolinità tossica”. Ipotizza che addirittura qualcuno in situazioni simili “potrebbe arrivare a gesti di autolesionismo o, nei casi peggiori, a togliersi la vita” a causa di “tanta umiliazione in pubblico e sul web”.
“La vendetta fine a sé stessa è una pessima consigliera”, scrive Seymandi. “Con un’ingenuità disarmante, crediamo alle parole di chi parla con tono pacato e camicia bianca elegante, senza conoscere nulla del suo passato, e per contro condanniamo per stereotipo il fatto che una donna più giovane stia con un uomo più maturo, presumendo lo faccia solo per interesse”.
La conclusione della missiva è laconica. “Sono convinta di aver dato il massimo in questa relazione, e mi spiace molto, sinceramente, per il disagio che posso aver creato a Massimo Segre, se – come lui sostiene – non sono stata all’altezza delle sue aspettative come compagna, ma nel merito di questa triste vicenda – anche considerato il fatto di non aver avuto, per sua scelta, nessuna possibilità di confronto con lui, l’uomo con cui condividevo la mia quotidianità da 3 anni – non penso di aver altro da aggiungere”.