«La coscienza di “AC” abbracciò tutto quello che un tempo era stato un Universo e meditò sopra quello che adesso era Caos.
Un passo alla volta così bisognava procedere.
– LA LUCE SIA! – disse “AC”. E la luce fu…»
da L’ultima domanda di Isaac Asimov.
Per guidare come si deve l’astronave della nostra interiorità, passiamo anni a studiarla, a descriverla, a circoscriverla, in modo tale che i comandi principali siano sotto il nostro sguardo attento e tutti quegli imbarazzanti pulsantini che si nascondono nelle posizioni più astruse non ci distraggano dalla velocità di crociera che abbiamo stabilito. Così facendo, il viaggio interstellare non ci angoscia, perché, possedendo in anticipo le mappe, calcolando con una certa esattezza i rischi eventuali e il carburante necessario, ci pare di governarci adeguatamente, quanto basta almeno per arrivare a destinazione. E quei vetri così ampi che si affacciano sullo spazio infinito possono essere una barriera accettabile per sfiorare l’universo senza rischiare più di tanto, silicato di alluminio temperato e silice fusa che si frappongono tra noi e l’universo, attutendo la vertigine.
Da quel finto varco guardiamo le navicelle altrui, protetti come noi da quell’universo di stelle belle, incuranti dei cigolii che denunciano spifferi in ogni dove. Qua e là qualche folle rotea nell’assenza di gravità, che abbia perso quel necessario involucro di pilotaggio? Non è cosa per noi che abbiamo la necessità di gestire tutto con il nostro libretto delle istruzioni, un vocabolario alla nostra portata per descrivere me e te. Ma un figlio sfugge la definizione, un compagno pure e un’amica anche. Ci vogliono occhi liberi, leggeri come ali di farfalla che possono solo delicatamente sfiorare quel divenire diverso, alieno, che si dona in una danza o si nasconde nel nero galattico.
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Degli strani rumori segnalano un’avaria al motore e il cacciavite che teniamo stretto nel pugno non basta a sistemare tutto; l’impatto è violento e il nostro universo esplode in pezzi che volano in mille direzioni. Ci affanniamo ad acciuffare qualcosa, atterriti e affascinati da quell’entropia improvvisa, che scorre in noi come un fiume impetuoso di luce e forza. Una corrispondenza dentro-fuori in cui le definizioni diventano riparazioni inutili e indegne, non si può più andare controcorrente rispetto al flusso delle cose, bisogna abbandonarsi a una pazienza fiduciosa e libera dal bozzolo esaurito della nostra rassicurazione.
Fiorenza Cirillo, 27 dicembre 2023