Un annus talmente horribilis da diventare quasi divertente, almeno visto con le lenti del sarcasmo. Perché in casa comunista, consoliamoci un po’ così, se ci è lecito, si è ribaltata ogni prospettiva e il futuro da sogno s’è disciolto in un presente da incubo. Eh già. Avevano cominciato belli tronfi in casa piddina, spocchiosi come non mai: tutto pareva andare a gonfie vele, il regime a trazione cinese filava come la Transiberiana, l’informazione ne cantava le lodi, il banchiere al governo vessava e rivessava, l’uomo del Colle sorvegliava benevolente, perfino quello di là dal Tevere, il più compagno di tutti, benediceva compiaciuto.
Lo stato concetrazionario sarebbe continuato chissà fino a quando, e nel frattempo quella di un libero voto si stagliava come una prospettiva sempre più irreale, tanto più che la cittadinanza, degradata a plebe, pareva svuotata, priva di qualsiasi aspettativa. Un popolo di morti viventi. Tenere tutti chiusi e terrorizzati, per giunta, oltre a sradicare qualsiasi velleità dal corpo sociale, pareva una splendida soluzione per le emergenze, quelle vere, che nessuno aveva voglia e capacità di affrontare, dall’inflazione al dissesto produttivo e commerciale fino a un razionamento energetico già partito, anche se poi sarebbe convenuto addebitarlo all’invasione russa dell’Ucraina.
Draghi, il Superautocrate osannato
Costituzionalisti di servizio, guitti, cialtroni, zoccole, parassiti in camice, amebe da talk show: tutti a portare il Superautocrate in processione, guai a chi gli rivolgeva una domanda: subito crocifisso in sala mensa. “Il paese non va”, si sentiva proclamare con brividi di compiacimento. Ma, sotto il tappeto dell’inettitudine pariolina e capalbiese, covavano braci mai sopite. Draghi, irriso da Mattarella nella corsa al Quirinale, se la legava al dito: il tecnico distaccato, elegante tradiva ogni giorno di più la sua vera natura di maneggione maldestro, vendicativo, con punte di sconcertante volgarità. Era, impercettibile, l’inizio della fine per il Pd e i suoi derivati; e la fine, puntuale, deflagrava in piena estate, dopo mesi da governo-zombie. I mammasantissima del Nazareno ce la misero tutta per soffiare ancora sul terrore, ma, più che mantenere il cadavere, sempre più maleodorante, nella stanza del potere, sino al principio dell’autunno, non poterono fare.
Il disastro targato Enrico Letta
Nel frattempo, il Pd affrontava la campagna elettorale più demenziale, situazionista, patafisica, imbecille dai tempi della Scissione di Livorno del 1921: Enrico Letta, sul cui equilibrio psicologico finirono per dubitare tutti, a cominciare da quelli del suo stesso partito, si incaponì, in un passaggio storico dai risvolti complessi e delicati come non mai, su alcune questioni surreali: guanciale o pancetta per la carbonara, l’esigenza di garantire per legge i giocherelloni sessuali indecisi a tutto, la pretesa di travasare l’Africa intera in Italia, più i soliti evergreen, dall’allarme democratico (se non comandava lui) allo ius soli, dalle mance di stato ai maggiorenni che avevano raggiunto l’eroica impresa di compiere 18 anni al disprezzo sibilante tra i denti radi per i cosiddetti “novax”. Il climax fu ad un comizio toscano: “Forza Pisa Livorno merda”, eruppe a un certo momento, mentre i livornesi davanti a lui lo insultavano e i compagni dietro di lui si domandavano se chiamare l’ambulanza.
Il segretario, ormai a scadenza programmata, cianciava di campo largo e in seno al partito si sbiscottavano, spesso accoltellandosi. Cercava candidati deluxe, e gli toccavano certe ciofeche oltre lo squallore (ci arriviamo tra poche righe). Perdeva acqua, consensi, alleati, e diceva: forza, che vinciamo. Con simili presupposti, era logico aspettarsi una débacle: fu una catastrofe epocale, e gli andò ancora bene, al professorino parigino, che si trovava a respirare negli anni Venti del ventunesimo secolo, non nei quaranta del ventesimo: altrimenti per lui sarebbe finita molto, molto peggio.
L’odio contro Giorgia Meloni
Comunque, salì al potere Giorgia Meloni, al che il Pd cominciò immediatamente con la canea: è fascismo, è dittatura, è il trionfo dei novax (come no, si è visto…), guardatela come veste male, sembra un uomo, anzi una donna ma che scarpe, dio che scarpacce da maschio, adesso ha messo quelle da femmina ma non le sa portare, comunque noi siamo contro le definizioni di genere, però La Russa si chiama anche Benito e donna Giorgia viene dalla Garbatella, è una del popolo, che schifo. Il partito, vigorosamente sospinto da intellettuali della caratura di Michela Murgia, Roberto Saviano, “Gianqualcosa” Carofiglio (non ricordo mai se Franco o Rico, mea culpa) ed altri, riuscì nell’impresa di perdere altri cinque o sei punti: sospinto nell’abisso. Adesso puntano al 10, al 5, alla dissoluzione, probabilissima se consegnato nelle mani fluide, non binarie di questa Elly Schlein, una con più passaporti che lavori mai fatti. Sardinismo, malattia infantile del comunismo senile. Pensate che trinità avevano immaginato per il dopo-Letta: Elly in mezzo, sardina Mattia alla destra del matre, un certo sindacalista, Aboubakar Soumahoro, alla sinistra.
La fine di Soumahoro
E qui il guaio diventa, per dirla con Oliver Hardy, un guaio guaione. Perché l’uomo vero (in contrapposizione all’homo salvinianus, secondo ormai famigerata copertina dell’Espresso), si sarebbe rivelato di lì a poco uno sparafucile dai risvolti fumettistici: varcato Montecitorio con gli stivali di gomma cosparsi di fango, per essere più proletario, uscivano quasi subito dal suo cerchio magico circostanze al di là dell’incredibile (non per gli insider, che sapevano tutto da tempo e avevano perfino lanciato l’allarme).
In sintesi estrema, il suo clan familiare – compagna, suocera, e una pletora di cognati dalla Costa d’Avorio – aveva razzolato in una ventina d’anni incarichi piovuti da tutte le parti e da tutte le istituzioni, centrali, periferiche, sovranazionali, improntate all’assistenza dei migranti; che Abou chiamava “fratelli”, assai poco ricambiato però. Perché gli stessi fratelli, rianimati dalle prime indiscrezioni giornalistiche (da sinistra, gruppo Repubblica…), prendevano a denunciarne i misfatti, presunti ma clamorosamente scabrosi. Alla fine, una coop, un consorzio, una lega braccianti, un sindacato personale avrebbero fruttato 63 milioni di euro, a fronte di situazioni gestionali da bancarotta. Nel precipitare degli eventi, il compagno stivali prima minacciava a vanvera, poi lacrimava via social, infine difendeva il “diritto all’eleganza” della moglie, notoria aspirante influencer, mentre, come nella celebre scena di Fantozzi, sparivano velocemente, uno dopo l’altro, i feticci del suo potere: attività solidali chiuse dal ministero, inchieste a strati, domande innocenti dai giornalisti sodali cui però non si sapeva fornire una risposta decente: “Come ti sei mantenuto prima di diventare onorevole? Come hai fatto ad accendere un mutuo per una villetta da 300 milioni?”. “Ho scritto un libro”. Un libro che nessuno ha mai letto.
Alla fine, volavano via pure gli stivali, che Abou aveva preso in prestito, dimenticando di restituirli, come il conte Mascetti con le scarpe del Sassaroli “che gliele diede a risuolare un anno fa e ‘un le ha più riviste”. Almeno secondo il presunto effettivo titolare delle galosce. Fu, anzi è, perché la sensazione è che siamo ancora allo zucchero, prima ancora di uno scandalo, la più epocale delle figure di palta, e ci teniamo bassi, per il Pd. I cui potentati locali erano ovviamente intrecciati con le intraprese ballerine ricondotte al clan del deputato iperdemagogo. Imposto, è vero, dalla filiale rossoverde, Bonelli-Fratoianni: sempre filiale resta, del resto la “costruzione dell’idolo”, come poi fu ammessa da uno dei maldestri demiurghi, fu tutta in casa piddina: si deve ai vari Zoro, Damilano, Formigli, Fazio, Saviano e compagnia cantante bella ciao.
Tangenti Qatar, scandalo tutto dem
A proposito. I disastri del Pd non finivano lì. C’era pure la incredibile performance di Gualtieri, il sindaco chitarrista, riuscito nella più unica che rara impresa di far rimpiangere, tranne che ai cinghiali, una rovina chiamata Virginia. Ma neanche questo era sufficiente. Perché in cauda d’anno, venenum: dal seno infetto dell’Unione sgorgava, in sincronicità junghiana coi Mondiali di calcio in Qatar, un puttanaio memorabile, tutto (per ora) made in Pd: boiardi, burocrati, mammasantissima, boss e picciotti della sinistra mediterranea beccati con le mani in una marmellata di mazzettoni proprio dal Qatar, dal Marocco, ma si comincia a mormorare persino di Iran ed altri paesi illuminati. E la ragione sta proprio qui: i vari Eva Kaili, Antonio Panzeri, ancora un sindacalista, della potentissima ribalta cigiellina milanese, con tanto di familiari, reggipancia, portaborse e servetti, sarebbero stati foraggiati nel modo più opulento nel quadro di una operazione di riverniciatura sui diritti umani nei regimi che più li tradiscono, volta sia ad alterare gli equilibri democratici nelle istituzioni comunitarie, sia ad agevolare affari più o meno borderline con i suddetti paesi dove le donne restano in posizione subalterna, gli omosessuali restano in galera o pendenti da un cappio, e gli operai restano nel cemento utilizzato per realizzare impianti e infrastrutture.
Tutto ciò contro cui, a parole, molte parole, fiumi di parole, la sinistra mediterranea si batte e in essa il Pd, il più garrulo di tutti. Lo strumento per coprire tutto questo sconcio ancora presunto, ma sempre più dettagliato nelle inchieste dei magistrati e dei servizi belgi, coadiuvati da quelli italiani, erano le Ong: perfette per sviluppare attività di lobby, anche nel modo più spregiudicato, dietro il paravento dell’assistenza e della solidarietà. Due, finora, quelle nel mirino degli inquirenti: una facente capo al suddetto Panzeri, l’altra addirittura alla Bonino, che tuttavia è caduta dal pero: non ne sapevo niente, vorrei capire. Intanto che cerca di capire, le hanno arrestato il fiduciario, Figà Talamanca, cui è stata sequestrata una villa a Cervinia; che non è Roccaraso, con tutto il rispetto.
Ong, da taxi del mare a cargo tangenti
Le Ong idolatrate dal Pd e adesso è più chiaro il motivo: da taxi del mare a cargo di tangenti. Si chiude così il 2022 per la sciagurata sinistra, capace di tradire tutte le istanze che le restavano: in pochi mesi emerge, a livello generale, che la cooperazione è una truffa, l’accoglienza un business criminale, le stesse Ong associazioni pericolose, i diritti umani fuffa sulla quale lucrare, il sindacato infiltrato da gente losca, e i santi sono sporchi. Uno scenario lugubre, una palude Stigia i cui meandri sbarrano la strada al Vestibolo dell’oltretomba; le altre correnti portano a Cocito, Acheronte, Flegetonte e Lete. Difficile, salvare qualcosa, qualcuno di questo annus piddinus mirabilis la cui sequela terrificante di eventi può stroncare il più resiliente dei supereroi. Ma Letta è altra cosa, è un sacco, abituato a prenderle, anzitutto da se stesso; e c’è una vecchia massima, nella boxe, che dice: se fai 15 round con un sacco, alla fine chi resta in piedi è il sacco.
Pd allo sbando
Letta è un sacco resiliente, cioè ha una faccia che più tosta non si può, lui come gli altri che oggi accusano gli usurpatori di non aver fatto in due mesi ciò che loro non hanno mai fatto in 12 anni. Hanno perso tutto principalmente per aver voluto incaponirsi nel regime sanitario: e sono più sbavanti e ringhiosi di prima. Non hanno gente, non hanno idee, non hanno ideali, non hanno speranze: gli resta solo la spocchia, sempre più sciocca, sempre più pavloviana. Sono ridotti a blindare al Festival la paracula vaccinale Madame, che “resisteva” fottendo non il regime ma i povericristi vittime del regime, senza possibilità di difendersi, secondo la logica più folle, più demenziale di tutte: vince una non binaria a Sanremo, vince una nonbinaria al Nazareno. Mai il mondo è stato più complicato di adesso, ma il Pd è ridotto a dipendere da una che dice: votatemi, sono bisessuale. Pacifisti bellici, solidaristi egolatrici, il caffè col pos e le mazzette cash, il contrario di tutto su tutto. E hanno intellettuali che trovano il cristianesimo cattolico troppo infantile, dall’alto delle loro vocali rovesciate.
Questa non è una crisi, è una agonia. Il Pd non è un partito, è partito senza destinazione. Letta non è sconfitto, è disperso. Elly non è una alternativa, è la cronaca di una morte annunciata. Ma in fondo, è meglio così. Perchè accanirsi terapeuticamente ancora? Se le riuscirà almeno la liquidazione, Elly potrà dire di aver fatto qualcosa di utile per la sinistra. Molto più di quelli che l’hanno preceduta, tutti, nessuno escluso.
Max Del Papa, 1° gennaio 2023