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L’antifascismo: la cicuta della democrazia - Seconda parte

Tutto questo era implicito nella storiografia revisionista di Renzo De Felice e, grazie anche a intellettuali comunisti come Giorgio Amendola, stava quasi diventando ‘senso comune’. «Oggi De Felice rischierebbe l’Inquisizione», ha scritto giustamente Marcello Veneziani su La Verità del 12 novembre e, in effetti, da alcuni anni l’antifascismo ottuso e persecutorio ha ripreso il sopravvento per legittimare l’union sacréé contro il presunto ‘duce’ di turno, Silvio Berlusconi, prima, Matteo Salvini dopo. L’italiano medio, però, rimane indifferente, come quel fedele che era rimasto l’unico a non commuoversi per la predica del curato e a chi gliene chiedeva la ragione rispondeva: «perché appartengo a un’altra parrocchia!».

Era scontato che anche gli spagnoli non avrebbero seguito Sanchez nel suo entusiasmo. Stando ai giornali, la vicenda della tomba di Franco ha contribuito a far raddoppiare i voti di «Vox» (dal 14% di aprile al 22% delle ultime elezioni). Chi vuol fare dell’antifascismo una risorsa retorica e simbolica, inevitabilmente, genera una reazione di rigetto. L’uomo della strada, in Spagna – ne conobbi diversi quando il dittatore era ancora in vita – alla domanda sul Caudillo rispondeva: «Franco ni bueno ni malo». Oggi forse, infastidito dall’SOS Fascisme! vota per Santiago Abascal. La mobilitazione antifascista fuori stagione della Izquierda spagnola è la manna insperata per i nostalgici del Generalissimo.

Uno come Matteo Salvini, che sarà pure sovranista ma non stupido, giustamente ringrazia quando gli danno del razzista e parlano di ‘bestia salviniana’. Masochisti e autori di autogol sono sempre graditi, quando giocano nella squadra avversaria.

Dino Cofrancesco, Paradoxa Forum 18 novembre 2019

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