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L’arte di persuadere se stessi (Raymond Boudon)

Il metodo individualista di Boudon

L’ individualismo metodologico è alla base del pensiero liberale. Non possiamo dirci liberali in economia e nelle scienze sociali, senza passare per questa lente di ingrandimento dei fenomeni che ci circondano. Banalmente gli economisti austriaci, ritengono che l’economia dovrebbe dedicarsi allo studio delle scelte degli individui e non della predizione dei loro comportamenti in funzione di grandi aggregati macroeconomici.

Ogni azione è riconducibile al comportamento dei singoli, degli individui, e non dei collettivi sociali di moda in quel momento: lo Stato, il proletariato, il sindacato, la società, l’azienda. Anche la sociologia, da Weber in poi, ha affrontato questo approccio.

Il più grande maestro è certamente stato Raymond Boudon. Stabilito che ciò che conta è il comportamento dei singoli, val la pena, dunque, indagare come proprio i singoli si formino le proprie convinzioni. L’analisi sociologica si sposta dai molti agli unici, ma resta impigliata nella medesima domanda: perché si comporta così? Riprendere per le mani un bellissimo testo pubblicato da Rusconi nel 1993, L’arte di persuadere se stessi, è ciò che a questo punto ci serve per fare un passo avanti.

Se vogliamo andare avanti rispetto all’intuizione austriaca dell’individualismo metodologico. «Gli uomini hanno spesso delle buone ragioni scrive Boudon per credere ad idee false o dubbie», il motivo è che spesso «degli a priori apparentemente innocui e di uso corrente possono condurre, sulla base di argomenti solidi, a idee dubbie». Tutto ciò rimette in discussione la cristallina e illuminista teoria della razionalità.

Che fine fa la Ragione, dei singoli, dello Stato, del pensiero comune, se essa può essere vittima di un a priori, o peggio ancora di una credenza, quasi religiosa?

Il discorso di Boudon non porta al relativismo, etico o sociale, ma al contrario è solo uno strumento per comprendere i fenomeni che ci circondano, come oggi si direbbe, in modo laico. Gli a priori debbono essere soggetti a critica e sia nella conoscenza ordinaria, come in quella scientifica, sono onnipresenti, «ma ciò non mette in pericolo la capacità della conoscenza di raggiungere la verità e l’oggettività».

Vediamo di tirare le fila. Ciò che conta sono gli individui. Essi, pensano gli economisti alla Hayek, non reagiscono in modo uniforme ai grandi aggregati macroeconomici, ad esempio l’indice generale dei prezzi. Il loro comportamento, figlio degli incentivi personali, è anche soggetto a credenze, magie, superstizioni. Queste ultime hanno una loro ragione d’essere, poiché spesso nascono da argomenti solidi.

Ciò che è sicuro, e questo Popper lo ha scritto in mille modi, è che ognuno di noi è vittima di un a priori, di un pre-giudizio. Se questo filo metodologico si spezza il nostro modo di indagare le scienze sociali, è l’intuizione di Boudon isolato tra i sociologi contemporanei, è scorretto.

Nicola Porro, Il Giornale 12 giugno 2016

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