Tre giorni fa, mercoledì 22 agosto, i Rolling Stones hanno fatto capire che erano pronti a licenziare un nuovo disco dopo quasi 20 anni; lo hanno fatto con un finto annuncio su un giornale locale e l’immagine di una linguaccia, quella loro, celeberrima, ridotta in pezzi di vetro: come per dire “siamo noi, siamo fragili e ostinati come vetri, e adesso torniamo per l’ultima volta e torniamo là dove, 62 anni fa, tutto era cominciato”. Un capolavoro di concettuale e pop art.
Ieri una vincitrice di quei programmi canterini da cui possono al massimo uscire dei Maneskin, ma mai dei nuovi Rolling Stones, ha trovato modo di fare parlare di sé pubblicando l’immagine di un bagno a muro di una palestra di Torino “a forma di bocca di donna”. Apriti cesso! L’orinatoio, come enorme bocca spalancata, più che le labbra di una femmina ricorda, volendo, proprio quella dei Rolling Stones, declinata in milioni di versioni, che il designer John Pasche, allora 25enne, concepì nel 1970 ispirandosi alle labbra di Mick Jagger, dal quale aveva ricevuto incarico sulla base di una raffigurazione della dea Kali. Epoca in cui contaminazioni e trasgressioni ribollivano nelle menti fertili e giovani creando presupposti artistici dei quali stiamo ancora a parlare.
Cinquanta e passa anni dopo siamo, più che regrediti, implosi; siamo alla desolazione culturale se una apprendista cantante non trova altro canale dal conformismo moralista, che è di una noia mortale, subito raccolta dalla sinistra disperante che dopo essersi riempita per mezzo secolo la bocca di avanguardia, di arte, di provocazione culturale, sembra avere ripudiato tutto, perso tutto: le rimane la mestizia pedagogica, il dito alzato, il perbenismo alienato e burocratico, “così si incentiva la cultura del patriarcato”. Veramente si tratta di una esagerazione, magari non irresistibile, già vista le mille volte nei mille “pride”, ma una sfilata militante può permetterselo, la catena del fitness, delle palestre no.
Difatti la reazione arriva come sempre sullo stralunato di chi non si aspettava la bufera e invece dovrebbe perché questi sono tempi di intolleranza fanatica e, come tale, impossibile da discutere, da rintuzzare: “Volevamo fare design, senza offendere nessuno”. Avrebbero potuto dire volevamo fare design e peggio per chi si offende, ma la liturgia del piagnisteo aggressivo e delirante prevede immediata flagellazione, l’autodafè che dovrebbe placare gli esagitati. Ma non li placa.
C’è questa Greta (ma tutte così si chiamano queste capricciose?) che deve simulare la sua crisi d’ansia con cui legittimarsi al cospetto del Pd schleiniano e velleitario, quello dell’estate militante che nessuno ha visto. E allora anche un pisciatoio dalle pretese artistiche magari mal riposte, ma in nessun modo ascrivibile al patriarcato, può servire. Il dramma, e grosso dramma, della sinistra post culturale non è solo il suo totale ripudio di ogni cultura, ma la perdita del senso logico e perfino lessicale: si esprimono le puttanate che si vuole nella pretesa apodittica, lo dico io e vuol dire quello che intendo io, senza possibilità di precisazione, di confutazione. Tendenza in cui era maestra quella men che mediocre scrivana della Michela Murgia, capace di farci su un piccolo patrimonio a beneficio della “famiglia queer”.
La sinistra Zerocalcare o Saviano, quella dei comici conformisti che non fanno ridere neanche per sbaglio, dei battutisti agghiaccianti, dei rancorosi tristi come iene al tramonto, non ha più alcun sospetto dei dada, di Tristan Tzara e Duchamp con le sua Gioconda che “ha caldo al culo”, figurarsi le accuse di patriarcato tossico, oggi, di concettuale e pop art, dei Rolling Stones che chiudono il cerchio dell’arte e dell’oltraggio anche visivo, la copertina di Black&Blue, con la modella “coperta di lividi”, quella di Some Girls, con le dive del periodo parodizzate e offesissime, Andy Warhol e Chagall, Schifano e Marianne Faithfull, che faceva imbestialire Mick, “ti sei infilata nel letto di un mandolinaro”. Pasolini che li invitava in casa e un po’ li bramava e un po’ li temeva, Anita Pallenberg e Stash, il figlio di Balthus che svezzava, corrompendola, la quindicenne Romina Power, e ancora Warhol e la banana dei Velvet Underground, le lacerazioni scenografiche newyorkesi di Lou Reed, gli espressionismi grafici di Tom Waits, gli antagonisti artistici feroci, totali di Frank Zappa, tutto si poteva, tutto si osava, molto restava. Era arte. Adesso per la sinistra non si può più neanche pisciare in pace.
Max Del Papa, 25 agosto 2023