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L’asilo obbligatorio del soviet Letta

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Ce ne vuole per farsi fischiare dal popolo del Meeting di Rimini, che, vuoi per innato ecumenismo vuoi per sussiegoso atteggiamento verso i potenti, è sempre generoso coi suoi ospiti. Enrico Letta, che in queste settimane sta collezionando gaffe su gaffe, ci è riuscito. Eppure, la surreale proposta di rendere obbligatoria la scuola d’infanzia, populistica e demagogica come altre mai, non va presa troppo sottogamba, quasi come un mero errore di calcolo o un’idea fra le tante A dettarla, fosse pure in modo irriflesso, è stata tutta una filosofia, un modo di concepire il rapporto fra gli individui e lo Stato che a noi liberali non può che fare paura.

Mara Carfagna, intenta forse a farsi perdonare il suo irrazionale passaggio a sinistra, ha parlato di “stile sovietico”, ma a me viene in mente l’antica Sparta, ove, al contrario di Atene che aveva in qualche misura un’idea moderna di cittadinanza, i piccoli venivano sottratti ai genitori e affidati allo Stato che li indottrinava e formava a una vita in cui l’individualità era completamente alienata e sottomessa ai valori superiori e indiscutibili della polis (cioè in pratica dei suoi reggitori). Ovviamente il paragone funziona per assurdo, ma è evidente che regge perché anche nel caso di Letta c’è una diffidenza ingenita verso la specificità di ogni individuo, per la libertà con cui ognuno forma la sua personalità senza che a priori siano concepiti e imposti in modo astratto ideali di correttezza e moralità.

E c’è la diffidenza per la famiglia, come comunità naturale e originaria in cui, attraverso l’esempio e anche il conflitto naturale fra genitori e figli, quella personalità ha il modo e lo spazio giusti per formarsi. Non c’è educazione vera che non sia auto-educazione, e quindi non c’è un’educazione vera se non in una dimensione di libertà assoluta. Che è quanto lo Stato come lo concepisce Letta non può assolutamente offrire. Statalismo e dirigismo comprimono e restringono lo spazio in cui l’individuo può maturare e fiorire. Dietro l’uscita di Letta c’è l’idea che lo Stato non debba limitarsi, attraverso le leggi, a garantire la libera coesistenza dei diversi, ma indicare l’unica rotta, la via corretta del Progresso, dell’Emancipazione, dei Diritti.

D’altronde, è tutta la scuola (e persino l’università) che, influenzata da una cultura di origine sessantottina che col tempo si è integrata con un certo efficientismo aziendalista e con le grandi forze economiche, ha assunto negli ultimi anni questa brutta piega, a dimostrazione che non sempre fare retromarcia sia un tornare indietro come pensa la sub-cultura del Progresso che domina le nostre vite. Che i piccoli siano “plasmati” sin da piccoli in modo da ritenere “naturale” l’interpretazione progressista della vita e le ideologie liberal (a cominciare ad esempio da quella gender) è l’obiettivo sotteso a una mentalità che porta ad uscite del genere di quella riminese.

E pensare che Letta è di radice democristiana e cattolica! Gli basterebbe leggere qualche pagina di Don Sturzo per rendersi conto di come è aberrante la sua proposta, di come suonino illiberali le parole che ha detto.

Corrado Ocone, 25 agosto 2022