Sport

L’atleta trans perde e piagnucola: “Mi hanno vietato l’accesso ai bagni”

Valentina Petrillo eliminata in semifinale nei 200 metri si sfoga e denuncia l’episodio

Ma cosa è questa smania di voler essere quello che non si è? Che senso ha questa pretesa folle ma irrinunciabile di volersi ribaltare, di rinnegarsi, come se trasformarsi, per finta, in altro da noi risolvesse tuti i problemi? La Narrazione stupida che ottenebra e stravolge dirotta le questioni reali verso questioni false, prive di senso, da risolvere con domande prive di senso, senza risposta: è giusto? È sbagliato? È razzista o inclusivo?

Invece la faccenda è molto più semplice: cosa è questa moda o mania di cambiarsi il sesso, sapendo che è impossibile, che si finisce per diventare pateticamente alienati? Insomma di cosa stiamo a parlare? Cosa è questa follia o abbaglio o miraggio che anche a notte fonda ci viene imposto con certe trasmissioni deliranti che pretendono di pretendere quel che non esiste? Un mezzo per confondere ancora di più quello straccio di Occidente che resta? O le solite ragioni mercantili, rapaci, i cosiddetti mercati che si aprono, non più di cose ma di suggestioni, di presunzioni, di protagonismi effimeri?

La corridora – ma sì, rendiamole pure l’onore delle armi, se è questo che vuole -, la corridora Fabrizio in Valentina Petrillo, reduce dal fiasco delle paralimpiadi, non si rassegna e torna alla carica: mi hanno discriminato, non ho potuto andare nei bagni che preferivo, “adesso lo devo dire, non posso tacere”. Come per una questione vitale, fondamentale per le umane sorti anziché la disperata rincorsa alla notorietà che sfugge, allo stesso modo delle corridore donne che superano questa rivale maschio che ha preteso e ottenuto di sfidarle, e come? Con un sofferto “percorso di genere” per via burocratica, limitandosi ad aggiornare i dati anagrafici. E minacciando querele a chi rifiutasse di lobotomizzarsi, “un uomo che si crede donna è una donna”.

Cosa è questa ondata di irrazionalità che ci travolge e non lascia scampo? J. K. Rowling, la scrittrice odiata dalla lobby gender che ha promesso di ucciderla e ha già cercato di minare e bruciare la sua casa, non se ne dà per intesa e insiste: adesso ha definito Petrillo “un autentico imbroglio”. Rowling ha una oggettiva ragione, al di là della polemica personale, insistita e magari di cattivo gusto: è un imbroglio pretendere che ci sia quello che non c’è e negare ci sia quello che c’è, è un imbroglio obbligare il resto dell’umanità a fare lo stesso, ossia dettare una paranoica legge personale che si fa globale; ed è un imbroglio insistere su tutto questo per evidenti ragioni di cassetta.

Petrillo, uomo biologio che a 51 anni, età improponibile per lo spor agonistico, ha preteso di sfidare donne, sostiene di esporsi per la causa trans, i suoi toni sono messianici, il suo vittimismo sfiora il martirologio, “voglio sottrarmi alla morbosità”, ma non rinuncia alle copertine, ai proclami, a quella che si usa chiamare visibilità e è il solito demone del “vanitas vanitatum et omnia vanitas”; alla prova dei fatti gareggia, perde e si rifugia nella presunta discriminazione da servizi igienici. La sua battaglia sta nella maniglia del cesso?

E si finge, perché si deve, perché non si può fare altrimenti, di prendere sul serio quest’aria che non corre abbastanza ma almeno cammina: fiumi di parole e anche noi siamo qui a parlarne, a ragionare di nulla, sul nulla. Tutto è percezione? Non esiste alcuna realtà, come da tremila anni sospettano i filosofi più scaltri e più spregiudicati? Allora perché alla Biennale hanno esposto una ridicola statua, chiamata “Donna”, con tutti i caratteri femminili, capelli lunghi, corpo sinuoso, sottile e anche le tettine, salvo un pudico pisellino rinascimentale? Come a voler rimarcare l’oggettività della materia per legittimare la volatilità della percezione.

Se tutto è percezione, se la realtà non esiste altrimenti che a dimensione percettiva, non aveva maggior senso, un significato perentorio, definitivo, la statua di un maschio erculeo, barbuto, un maschio ostentato, oscenamente virilizzato, il membro taurino, e sotto la scritta: “Donna?”. Ma al coraggio estremo della pazzia non ci arriva nessuno, il gioco regge finché puoi manovrare di sponda, col vittimismo paradossale, fingendo di non vedere le estreme conseguenze: il familicida di Paderno, il diciassettenne Riccardo che si presenta dal giudice e dice “Non sono Riccardo, sono Amelia, di cognome faccio Passeroni, sono una delle ragazze Passeroni”.

Fabrizio in Valentina Petrillo vuole essere donna come uno che dice voglio, non posso ma voglio lo stesso. Poi scopre che non basta a vincere e allora prima trova improbabili scuse atletiche, poi la mette sullo stress da discriminazone, infine scomoda la mancata inclusione da targhetta, da bagni pubblici. Maledette donne. Forse la prossima volta pretenderà di gareggiare da solA. Arrivando secondA.

Max Del Papa, 7 settembre 2024

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