Giustizia

L’attacco di Marina Berlusconi ai pm: “Casta intoccabile, ecco il meccanismo diabolico”

Firenze indaga sulle stragi del 1993. La figlia del Cav: “Papà perseguitato anche da morto”. E chiede una riforma della giustizia

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È una lettera decisa, dura, senza fronzoli quella che Marina Berlusconi invia a ilGiornale per denunciare le mosse della procura di Firenze che ha ripreso “imperterrita la caccia a Silvio Berlusconi, con l’accusa più delirante, quella di mafiosità”. La figlia del Cavaliere, venuto a mancare solo un mese fa, rompe gli indugi e attacca frontalmente i magistrati e questo “gioco assurdo” dove “ogni ipotesi di riforma” diventa “motivo di scontro frontale” che “ci costringe ad un eterno ritorno alla casella di partenza”. I pm fiorentini nei giorni scorsi hanno disposto la perquisizione della casa di Marcello Dell’Utri nel perimetro delle indagini sulle stragi del 1993.

“Sia ben chiaro – scrive Marina Berlusconi nella sua lettera – spetta solo a politica e istituzioni, nel rispetto del dettato costituzionale, affrontare problemi gravi come questo. Sento però la necessità di portare una testimonianza, e una denuncia, innanzitutto come figlia: la persecuzione di cui mio padre è stato vittima, e che non ha il pudore di fermarsi nemmeno davanti alla sua scomparsa, credo contenga in sé molte delle patologie e delle aberrazioni da cui la nostra giustizia è afflitta. È una storia che vede una sia pur piccola parte della magistratura trasformarsi in casta intoccabile e soggetto politico, teso solo a infangare gli avversari, veri o presunti”.

Per la figlia del fondatore di Forza Italia “è così che certi pubblici ministeri invertono totalmente il percorso che la ricerca della verità dovrebbe seguire”. “Partono da un teorema – continua – per quanto strampalato, e a questo adattano la realtà dei fatti, anche stravolgendola, per dimostrare la fondatezza del teorema stesso. Che poi alla fine questo non trovi il minimo riscontro importa poco. Perché nel frattempo gli organi di informazione amici avranno diligentemente pubblicato le carte dell’accusa, anche quelle in teoria segrete, facendo di tutto per presentarne le ipotesi come fossero verità assolute. L’avviso di garanzia serve così solo a garantire che l’indagato venga subito messo alla gogna: seguiranno le canoniche intercettazioni, anche le più lontane dal tema dell’inchiesta. Ma tutto serve a costruire la condanna mediatica, quella che sta loro davvero a cuore, prima ancora che il teorema dell’accusa venga vagliato da un giudice terzo. Un meccanismo diabolico, questa tenaglia pm-giornalisti complici, che rovina la vita ai diretti interessati ma anche condiziona, e nel caso di mio padre si è visto quanto, la vita democratica del Paese, avvelena il clima, calpesta i più sacri principi costituzionali. Eppure, e lo dico con tutta l’amarezza di cui sono capace, è un meccanismo diabolicamente efficace. Una condanna a un «fine pena mai» anche senza una prova, anche senza una sentenza, anche dopo la vita stessa”.

Chi pensava che la morte di Silvio Berlusconi potesse chiudere una stagione di contrapposizione e indagini continue si sbagliava. Non è cambiato nulla. “Dopo oltre vent’anni di inchieste – dice Marina – dopo una mezza dozzina di indagini chiuse su richiesta degli stessi pubblici ministeri perché non c’era – non poteva esserci – alcun elemento di prova, e subito riaperte in modo da dilatare strumentalmente qualsiasi termine di scadenza, dopo che i conti della Fininvest sono stati passati per anni al setaccio senza risultato, ci sono ancora pm e giornalisti che insistono nella tesi, assurda, illogica, molto più che infamante, secondo cui mio padre sarebbe il mandante delle stragi mafiose del 1993-94. È qualcosa di talmente enorme che fatico perfino a scriverlo. Ma davvero qualcuno può credere che Silvio Berlusconi abbia ordinato a Cosa Nostra di scatenare morte e distruzione per agevolare la sua discesa in campo del gennaio 1994? Ed è credibile, poi, che abbia costruito una delle principali imprese del Paese utilizzando capitali mafiosi?”.

Marina fa appello al buonsenso. Al ricordo di figlia per un padre che aveva “orrore di ogni violenza” e soprattutto “profonda considerazione di ogni singola persona”. Ma se non bastasse la testimonianza dei cari per smontare le accuse dei magistrati, dice il presidente di Fininvest, “qualcuno mi spieghi perché, dopo oltre un quarto di secolo in cui decine di pm hanno dedicato le loro giornate a mio padre, non è emerso nulla, nulla di nulla”. Tuttavia, “la lettera scarlatta giudiziaria che marchia l’avversario resta indelebile, gli sopravvive. E il nuovo obiettivo è chiaro: la damnatio memoriae”.

L’appello di Marina, che peraltro arriva in un periodo di tensioni interne alla maggioranza sulla riforma della giustizia, sembra chiedere finalmente un intervento su un sistema che “non funziona”. “Non m’illudo che, dopo tanti guasti, una riforma basti a restituirci alla piena civiltà giuridica. Ma penso, e spero, che chi ha davvero il senso dello Stato debba fare qualche passo importante. Non dobbiamo, non possiamo rassegnarci. Abbiamo diritto a una giustizia che, come si legge nelle aule di tribunale, sia «uguale per tutti». Per tutti, senza che siano certe Procure a decidere chi sì e chi no”.