Ma quanto gli brucia Djokovic? Sentite la Gabanelli, quella che la sa lunga: “Fa più danni l’ammissione di Djokovic agli Open australiani di tutte le manifestazioni no vax. Pecunia non olet”. È arrivata la vestale di Report a spiegarci, via Twitter, come va il mondo: ma cammina. È sempre una questione di soldi, tutto il resto è conversazione, come insegna Gordon Gekko. O, se vogliamo metterla come Bob Arum, celeberrimo impresario di boxe: “Non è mai per soldi: è sempre per soldi”.
L’esenzione di Djokovic (e l’odio dei vaccinisti)
Gli brucia, non lo possono sopportare il numero uno della racchetta, e non tanto perché “pecunia non olet”: forse che l’emergenza infinita non è una questione politica, dunque economica, stante che, come diceva Frank Zappa, “la politica è il ramo intrattenimento dell’industria”? Lasciassero perdere il capitalismo sportivo, a dargli dà l’orticaria è il fatto che l’abbia spuntata, che, da dissidente vaccinale sia riuscito a partecipare ai campionati australiani grazie a una esenzione: oddio, che privilegio, che cattivo esempio. Il primo ministro australiano, Scott Morrison, s’è subito catapultato a dire che se Novak non mostra “prove a sostegno” dell’esenzione allora “tornerà a casa con il primo aereo“. E adesso la nostra narrazione dove va a finire? Hanno finito i novax qualunque e se la prendono, pateticamente, con un campione che neanche sente il loro ronzare di zanzare incazzate. Quell’altro, certo Berizzi, uno a quanto pare ossessionato coi fascisti, che, sempre su Twitter, invita gli altri tennisti a boicottare il torneo: certo, non aspettavano altro, gliel’ha chiesto l’autorevole Berizzi dall’Italia.
No ai dissidenti (stile Urss)
Che un atleta possa essere bombato come un cavallo da palio non importa, quello che conta è non mettersi di traverso, non dimostrare che si può ragionare con la propria testa e, addirittura, spuntarla: insomma non essere di sinistra. È l’individuo che odiano, come non si stanca di predicare papa Bergoglio, loro sognano una nuova egemonia culturale come piace al ministro sghembo, Speranza. È la democrazia progressiva, bellezza, quella che andava di moda nell’Unione Sovietica e che i post compagni, sempre un po’ compagni, non hanno mai smesso di rimpiangere.
La scelta di Novak
Djokovic non si è mai definito novax, ha fin qui rifiutato di rivelare la sua scelta, giustamente perché questa ordalia ha anche rotto i coglioni; non ha fatto proselitismo, non ha detto niente per eccitare i fanatici che nel siero miracolo trovano draghi e incantesimi: ha posto le sue condizioni, mettendo in conto la rinuncia all’ennesimo trionfo e a un altro monte di premi in denaro. Un altro campione, Gianni Rivera, era andato oltre, dicendo serenamente a Porta a Porta che lui di vaccinarsi non se lo sognava “perché sento in giro di reazioni avverse pericolose”, al che un Bruno Vespa sprizzante indignazione da tutti i nei aveva sibilato: ma dai che non è morto nessuno, a starci male sono pochi, e l’ex Golden Boy rossonero, impassibile: “Sì, ma se tra quei pochi a restarci ci sono anch’io, un po’ mi dispiace”. Vai con la gogna, via col tango infame tipico dello squadrismo rosso, ma i Rivera e i Djokovic se ne fregano dall’alto del loro carisma e delle loro carriere. Peraltro, non risultano ricoveri di nessuno di loro, men che meno in intensiva, mentre il numero degli intubati e comunque dei contagiati trifase, come i contatori, cresce di continuo e questa non è illazione, è la cruda realtà dei numeri che manda in vacca la narrazione ufficiale.