Un’immagine plastica della decadenza dell’Unione Europea è data dalla qualità della sua classe dirigente, che non finisce mai di stupirci in negativo. Da questo punto di vista, la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen ha raggiunto forse lo Zenith: con il parlare a ruota libera dei suoi membri, coi progetti megalomani messi in piedi e la faciloneria con la quale sono comunicati, con la testardaggine con cui non si prende atto dei conti che puntualmente la realtà presenta all’ideologia.
La sfida dell’Ue
Da questo punto di vista, il Covid 19 prima e soprattutto la guerra di Putin ora hanno rappresentato e rappresentano uno spartiacque non indifferente: di fronte alla “dura realtà” dei fatti la UE è chiamata a scegliere, a decidere cosa vuole essere: se vuole piantare i piedi per terra e ripartire daccapo e con umiltà; oppure, assecondare certi suoi istinti, e quindi condannarsi all’irrilevanza o addirittura implodere. Archiviato il cleavage europeismo acritico e ideologico vs sovranismo contraddittorio e confuso, questa a me sembra la vera sfida del futuro. Una battaglia non facile per il buon senso.
Il discorso imbarazzante
Almeno fino a quando a Bruxelles rimarrà una classe dirigente della cui stoffa, che avrebbe sicuramente scandalizzato i Padri Fondatori (De Gasperi, Schumann, Adenauer), ieri la vicepresidente Margrethe Vestager ci ha dato un’altra prova. Come si può infatti abbandonare ogni gravitas legata al ruolo, e anche alla tragicità del momento che l’Europa sta vivendo (con la guerra alle porte di casa e seri problemi di approvvigionamento energetico), e fare un discorso così banale e (esso sì populistico) come quello svolto in una convention e rilanciato dal suo profilo Twitter? Come si può suggerire di risolvere i nostri problemi suggerendo di fare meno docce e consumare meno acqua calda e dire, nel mentre si spegne l’interruttore, “Putin prenditi questa”?