L’asticella è stata fissata al 26%. Meloni è convinta che alle Europee “confermare i voti che mi hanno portato a Palazzo Chigi un anno e mezzo fa” sarebbe “una vittoria”. E ha ragione, ovviamente: non perdere consensi dopo 18 mesi di governo “non è una cosa facile” e “non accade spesso”. Giusto porselo come obiettivo: ma perché rischiare tutto con un all-in pubblico?
Sia chiaro: i sondaggi danno FdI ben al di sopra di quella soglia, benché in lieve discesa, dunque il risultato è sicuramente alla portata del premier. Inoltre è comprensibile il desiderio di trasformare le Europee in un test per il consenso personale, anche se avrebbe senso solo se il premier si candidasse in prima persona. Tuttavia in politica fissare asticelle può essere rischioso, soprattutto quando mancano quattro mesi all’apertura delle urne. Perché indicare all’opinione pubblica un limite sotto il quale FdI rischierebbe di apparire sconfitto pur risultando primo partito italiano?
Qualcuno dirà che Meloni sa di potercela fare e che scendere sotto il 26% la farebbe comunque passare da perdente. Forse. Ma la politica è fatta di narrazioni: si può scegliere di raccontare le Europee come un voto prettamente europeo, magari per ottenere il mandato a ribaltare le follie green della Commissione targata Ursula von der Leyen; oppure si può tentare di trasformarle in un plebiscito sull’operato del governo. Meloni sembra aver scelto questa seconda strada, come aveva fatto intendere a Quarta Repubblica lo scorso gennaio (“Per me – disse – potrebbe essere importante verificare se ho ancora il consenso”). Se ci riesce, mette in cantina altri anni di esecutivo senza scossoni. Se perde, però, potrebbe terremotarne la tenuta. È una scommessa a tutti gli effetti, simile – benché molto meno azzardata – a quella di Renzi col referendum costituzionale. L’ultima Supermedia Youtrend dava FdI al 27,5%, solo 1,5 punti percentuali sopra la fatidica soglia. Tanti voti, ma nemmeno abbastanza da dormire sonni tranquilli.
Giuseppe De Lorenzo, 19 marzo 2024
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