La Commissione Ue ha pubblicato le previsioni di crescita dei paesi membri per il 2021. Le cosiddette previsioni invernali da aggiornare in corsa accanto ai dati del 2020. Questi sono a consuntivo e gli scostamenti eventuali saranno minimali. Cosa emerge dalla lettura dei dati? Sostanzialmente che chi in passato è andato male, con il Covid ha fatto peggio degli altri e si riprenderà ancora peggio.
L’Italia non cresce
Insomma, un disastro su tutta la linea. Unito al fatto che dentro questo disastro l’Italia è purtroppo immersa fino al collo. Ufficialmente dentro l’Ue non siamo stati i peggiori nel 2020 quanto a crollo del Pil. Peggio dell’Italia (-8,8%) ci sono infatti Spagna (-11%), Grecia (-10%) e Malta (-9%). Non veri e propri benchmark quanto a vitalità dell’economia. Il quadro si colora purtroppo di grigio ancor più scuro, se si analizzano i dati relativi alle previsioni per il 2021. Il previsto +3,4% per il nostro Pil nel 2021 non è una notizia cattiva in quanto tale. Ma assume connotati inquietanti se si prova a tracciare una riga in prospettiva, alla fine di questo secondo anno di pandemia. Sulla base di questi dati scopriamo infatti che a fine 2021 avremo un reddito inferiore del 6% rispetto al livello pre Covid.
Di per sé già non entusiasmante se si considera che – sempre secondo i dati della Commissione Ue – dal 2002 al 2019 l’Italia ha infatti registrato mediamente un +0,1% annuo. Detta in parole semplici, praticamente zero! Non ci siamo mossi di un millimetro. Mentre il resto del mondo, ed anche dell’Europa eccome se si muoveva. Nel 1997, al momento in cui abbiamo scelto di entrare nell’euro – agganciando il nostro cambio ad un tasso praticamente fisso con il marco – il nostro reddito era pari al reddito medio dei primi 15 Paesi dell’Ue (98% per l’esattezza). Oggi siamo sotto di almeno un quinto (78% circa). Ciascuno ne tragga le sue conclusioni. Fra i Paesi che escono peggio della pandemia abbiamo l’inaspettata compagnia dell’Austria che si è infatti distinta per le sue misure particolarmente repressive dell’economia, con tanto di chiusure indiscriminate pur di fermare la diffusione dei contagi. Un rimedio peggiore del male a quanto pare. Riprova ne è che la Svezia, praticamente in assenza di lockdown, si ritroverà ad avere lo stesso reddito del 2019.
Bolle pronte a scoppiare
Alla luce di tutto questo e nell’attesa di vedere all’opera il nuovo governo quali insegnamenti trarre da tutto questo? Premesso che Mario Draghi non ha certo bisogno di consigli, le priorità sono sostanzialmente tre: prima la crescita, poi la crescita ed infine ma soprattutto la crescita. Non è una battuta ma la realtà. Chiudere l’economia fa male? La si apra. Aumentare le tasse deprime i consumi? Le si abbassino. Limitare l’uso del contante fa diminuire il giro d’affari per i negozianti già piagati dal lockdown? Lo si liberalizzi come in Germania dove non esiste alcun limite. La macchina dei lavori pubblici è troppo farraginosa a causa del Codice degli Appalti? Si aumenti la soglia di importi per i lavori da assegnare in affidamento diretto. Anche perché quattro bolle, anzi vere e proprie mine, ostacolano il governo Draghi già in partenza. Siamo nel mezzo di una vera propria bolla occupazionale. Cosa succederà a milioni lavoratori quando le aziende potranno licenziare?
Ma anche di una bolla creditizia. Cosa succederà ai 2,7 milioni di cittadini ed imprese una volta che sarà scaduta la moratoria e dovranno tornare a pagare le rate dei mutui? Per non parlare della bolla tributaria. Cosa succederà ai contribuenti se ripartissero le oltre trenta milioni di cartelle esattoriali ancora in stand by? E dulcis in fundo la bolla del bilancio pubblico. Cosa accadrà ai nostri conti una volta che lo Stato scoprirà di dover onorare la montagna di garanzie prestate alle imprese durante la pandemia e che diventeranno sofferenze per le banche?
Tutte bolle, anzi bombe, che se scoppiassero renderebbero il quadro ancora più tragico. È finita la poesia inizia la prosa per Mario Draghi.
Fabio Dragoni, 13 febbraio 2021