Son tempi difficili per il Partito Democratico. La vittoria quantomeno discutibile di Elly Schlein alle primarie non ha apportato la svolta sperata. Anzi. I dem hanno grosse difficoltà nei sondaggi e le europee sono dietro l’angolo. Senza dimenticare la diaspora registrata negli scorsi mesi, con diversi parlamentari, consiglieri regionali o comunali che hanno sposato il progetto di Azione, Italia Viva o Forza Italia. Più interessata alla comunità Lgbt che ai temi della sinistra, l’agenda woke non sta avendo grande successo e rischia di fare affondare i dem. Riassumendo, sono cinque le rogne per la Schlein.
Candidatura alle europee
Il premier Meloni sta pensando concretamente all’ipotesi di candidarsi alle elezioni europee per lanciare un segnale e puntare a un risultato storico per Fratelli d’Italia. Gli altri leader non sembrano intenzionati a farsi avanti – Salvini e Conte hanno già annunciato il passo indietro – mentre la Schlein sta (come sempre) traccheggiando, forse in attesa dell’intervento divino. La politica di Lugano anche ieri sera a Piazzapulita si è rifugiata in una supercazzola: “Aspetto di capire se siamo in grado di costruire una lista in grado di rappresentare la società che vogliamo costruire per l’Italia e per l’Europa, io oggi sono impegnata a trovare la squadra, le individualità vengono dopo”. E ancora: “Valuterò l’ipotesi di candidarmi. Io sono impegnata oggi a trovare la squadra, le individualità vengono dopo e le nostre valutazioni le faremo dopo aver definito il progetto. Dal 27 febbraio saremo a Cassino per la prima tappa dell’Europa che vogliamo costruire, per trattare temi specifici”. Non si tratta di tattica, ma di semplice timore per un clamoroso fallimento.
Politica estera
Forse il grattacapo principale per la Schlein riguarda la politica estera. L’esigenza di prendere le distanze dal centrodestra – ma anche una certa tendenza all’interno della sinistra – ha spinto i dem a un atto clamoroso: l’astensione sul rinnovo degli aiuti all’Ucraina. Ma c’è di più. Perché prima del voto si è consumata una irreversibile spaccatura, con alcuni parlamentari che hanno disatteso le indicazioni del Nazareno votando a favore del punto presente nelle risoluzioni di maggioranza, Azione e Italia Viva. Sono otto i dem ammutinati: Lia Quartapelle, Marianna Madia e Lorenzo Guerini alla Camera e Dario Parrini, Filippo Sensi, Simona Malpezzi, Valeria Valente e Pier Ferdinando Casini al Senato. Non si tratta di una crisi improvvisa, ma del risultato di un lento logoramento interno, tra la voglia della Schlein di inseguire Conte e una certa stanchezza sul sostegno a Kiev. E gli elettori non sono per nulla contenti.
Pd spaccato
Non ci sono solo le europee. I partiti sono infatti al lavoro per delineare candidati e alleanze di regionali e comunali, le difficoltà del Pd sono a dir poco lapalissiana. Partiamo dalle comunali di Firenze, dove i dem rischiano il clamoroso flop. A causa dello scontro a distanza tra Matteo Renzi e Dario Nardella, il Pd rischia di correre senza Italia Viva, ossia una quota di voti che potrebbe fare la differenza. E senza troppi giri di parole: se la Schlein perde Firenze, rischia di perdere il Nazareno. La candidata sarà Sara Funaro? E chi sarà in primafila? I dubbi sono tanti e il 9 giugno è sempre più vicino.
Stesso discorso per Sardegna e Piemonte, due regioni a guida del centrodestra. Un vero e proprio terremoto nel Pd sardo per la decisione di appoggiare la candidata grillina Alessandra Todde. “Elly Schlein insegue Conte e lui la bastona. Lui vota con il governo ‘no’ al Mes. E lei che gli dice? Eccoti la Sardegna”, il j’accuse di Renato Soru, patron di Tiscali ma soprattutto tra i fondatori del Pd. Lui ha deciso di correre da solo il prossimo 25 febbraio e trenta dirigenti dem locali hanno confermato di voler appoggiare la sua candidatura. Con buona pace della Schlein. In Piemonte non va molto meglio: Pd e M5s stanno continuano a litigare sul nome del candidato e la sensazione è quella di un altro sacrificio sanguinoso per i dem. Nel frattempo Cirio continua a guadagnare consensi, tant’è che anche Azione ha aperto all’appoggio: “All’alleanza nel centro-sinistra non ci ho mai creduto, non ci credo e credo che non ci credano nemmeno loro, Pd e M5s. Senza entrare in un’alleanza, Azione ha scelto di dialogare con il presidente uscente Alberto Cirio, sostenuto dal centrodestra, qualificando su alcuni punti chiave il proprio sostegno: soprattutto rispetto alla sanità, che per noi è fondamentale e poi Pnrr e sviluppo. Pd e M5s, in quella stessa Regione, stanno ancora discutendo sul tema: A chi spetta la candidatura a perdere?”, le parole di Richetti al Foglio.
Il rebus alleanza con il M5s
Sin dall’inizio della segreteria della Schlein si è parlato molto dell’asse giallorosso. Dopo la brusca rottura dopo la caduta del governo Draghi, l’alleanza tra Pd e M5s ha tenuto botta occasionalmente a livello locale, mentre a livello nazionale tante chiacchiere e poca sostanza. Tra aperture e chiusure, voci e smentite, l’intesa rappresenta ancora un rebus. Sono tante le distanze tra i due partiti, ma c’è anche la consapevolezza che senza un’alleanza le elezioni le vincerà nuovamente il centrodestra. La diversità di vedute s’è confermata anche sul Mes, con i dem a favore e i grillini contrari. Ma il dialogo sembra reggere, nonostante tutto: Schlein s’è detta sicura che l’alleanza giallorossa alle regionali non è a rischio, pronta a lavorare per l’unità. Ma chi sarà il federatore? Sicuramente non la Schlein per migliaia di motivi, mentre Conte – un tempo eletto faro del progressismo al Nazareno – potrebbe approfittarne. Una cosa è certa, il Pd è abbastanza disperato senza grillini: lo stesso Calenda ha confermato che la collaborazione tra dem e Azione si è interrotta per la paura della Schlein di allontanarsi dai 5 Stelle.
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La sfida tv con Meloni
Schlein ha deluso gran parte dell’elettorato dem per aver rifiutato il confronto con il premier Meloni ad Atreju. La leader di Fratelli d’Italia ha rilanciato la disponibilità a una sfida davanti le telecamere. Dopo qualche tentennamento, la segretaria dem ha detto sì: “Mi sono rifiutata di andare alla loro festa di partito perché io non voglio condividere il palco con nostalgici del franchismo e del fascismo. Sono disponibile a un confronto, non a casa sua, non a casa nostra”, le sue parole a Piazzapulita. Non è mancata anche una vena polemica: “Meloni ha scelto me e non Conte perchè più gestibile? Beh, sarebbe un errore perché avrà una bella gatta da pelare”. Messa all’angolo, Schlein ha deciso di accettare. Ma il sentimento comune – anche a sinistra – è il rischio Caporetto: l’ex vice di Bonaccini soffre i confronti televisivi con i giornalisti, figurarsi con una politica navigata in cima alla classifica di gradimento degli italiani.
Massimo Balsamo, 12 gennaio 2024