Sapete quei recensori che quando si trovano tra le mani un libro non possono fare a meno di definirlo, il libro, «urgente» e «necessario»? Come se il mondo non potesse vivere senza quel testo, come se non avessimo ragione di esistere senza averlo letto. Abbiamo avuto l’impulso irrefrenabile di usare la scontata frase fatta anche noi, per Le sei facce della globalizzazione (FrancoAngeli, 2023) di Anthea Roberts e Nicolas Lamp.
Poi riflettendoci bene abbiamo bene capito come un testo non possa essere né urgente né necessario, ma solo utile. Utile al proprio spirito, utile alla propria fede, utile a comprendere un po’ meglio il nostro mondo, come in questo ultimo caso. I due studiosi di Diritto internazionale ha costruito un loro personalissimo cubo
di Rubik, quello dalle sei facce, i cui i colori si mescolano a casaccio, per descrivere le diverse narrazioni della globalizzazione. E lo hanno fatto in modo asettico, scientifico, esterno. Non prendono posizione, ma analizzano i sei (come le facce del cubo) fondamentali approcci con cui è stata interpretata. Vediamole.
La prima faccia, quella superiore, fornisce la «narrazione dell’establishment», che potremmo anche definire quella liberista, per la quale grazie ad essa vincono
tutti. Ci sono poi le due narrazioni populiste, quella di destra e quella di sinistra, che condannano il processo di globalizzazione esploso con la caduta dell’Unione
sovietica. La quarta faccia è quella del potere delle multinazionali, secondo la quale ad avvantaggiarsi sono queste ultime. La narrazione geoeconomica, la mette come semplice e terrificante scontro a due: tra blocco americano e cinese. È la storia che va alla grande oggi negli States. C’è infine la sesta e ultima faccia, e
cioè la narrazione sulle minacce globali, per la quale perdono tutti. Nessuno si è arricchito con la globalizzazione.
Chi scrive è indissolubilmente legato alla prima faccia del cubo, quello che, ahinoi, rappresenta la narrazione dell’establishment. I due studiosi, e questa è la prova del fuoco della loro correttezza metodologica, per illustrarla mettono in fila due celebri grafici economici che la giustificano. Il primo riguarda il cosiddetto grafico «mazza da hockey» della ricchezza. Che raffigura il Pil mondiale dal 500 a.C. al 2000 e in cui si vede la sua stagnazione per secoli e la sua crescita esponenziale negli ultimi 200 anni grazie alla rivoluzione industriale, al capitalismo e alla libertà degli scambi. E il secondo mostra la diminuzione favolosa della povertà assoluta, superiore al 90% della popolazione nel 1820 a poco sopra il 10% del 2011.
Ogni capitolo fornirà buone ragioni per l’uno e l’altro aspetto della narrazione sulla globalizzazione. Un buon modo per farvi la vostra idea.
Nicola Porro per Il Giornale 17 novembre 2024
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