Economia

Focus Credito - Seconda parte

Le banche italiane sono solide e macinano utili, ecco i numeri

Dopo aver analizzato le ricadute provocate su mutui e prestiti dai rialzi ai tassi decisi dalla Bce per combattere la corsa dei prezzi al consumo, proseguiamo questo focus sul settore del credito, misurando lo stato di salute delle banche italiane che, oltre a mostrare le spalle larghe dal punto di vista patrimoniale, sono reduci da trimestrali che spesso hanno superato le attese degli analisti. Insomma, numeri alla mano e a parte le speculazioni connaturate ai mercati azionari, rimarca uno studio della Fabi, “sono quasi impossibili impatti significativi” sul settore da crisi come quella del Credit Suisse o delle americane Silicon Valley Bank e First Republic.

 

Le banche italiane guadagnano e sono solide

Sono infatti 2.833 i miliardi di attivi aggregati dei primi dodici istituti creditizi del nostro Paese sottoposti alla Vigilanza Bce a fronte di 12,8 miliardi di profitti. Merito di una redditività che in termini di Roe (il parametro che misura il ritorno sul capitale) è a un soffio dal 9% e di un cost\income (che esprime il rapporto tra costi operativi e margine di intermediazione)  al 64,19%. Non solo il Cet 1, il principale termometro della solidità patrimoniale di una banca, si attesta in media al 14,7%, rispetto all’8% stabilito come valore minimo dall’Eurotower. Senza dimenticare che gli indici patrimoniali delle banche italiane di minore dimensione raggiungono in taluni casi valori ben più alti, a testimonianza che anche le piccole realtà hanno rafforzato il proprio patrimonio per fronteggiare eventuali altre crisi sistemiche. Ci perdonerete l’indigestione di tecnicismi a cui siamo ricorsi per dimostrare come le banche italiane siano in salute e collochino il nostro Paese nella pattuglia di testa dell’Unione europea insieme a Germania e Francia.

Nella Eurozona regole più stringenti

La situazione di tranquillità a eventuali choc esterni contraddistingue comunque l’intero settore del credito europeo anche grazie a una Vigilanza che, memore della crisi globale conseguente al crac di Lehman Brothers, ha applicato e continua a seguire parametri e controlli più stringenti rispetto a quelli statunitensi o elvetici. Certo per qualcuno, come per la Corte dei conti europea che ha di recente bacchettato la Bce per come monitora i rischi degli istituti di credito, i compiti a casa non sono mai abbastanza. Resta tuttavia il fatto che le Authority, sulla base dei famigerati  “stress test“,  hanno chiesto in anticipo alle banche di ricapitalizzare per rendersi più solide. Un sacrificio durato anni, anche penalizzando gli azionisti in termini di dividendi, di cui ora si colgono i frutti: il totale attivo dei 111 istituti di credito significativi a livello Ue ammonta infatti a 27.770 miliardi a fronte di oltre 92 miliardi di profitti. Quanto ai ricavi gli interessi netti portano nelle casse 206,9 miliardi di euro, le commissioni 119,92 miliardi, i proventi operativi 376,07 miliardi.

Il lavoro fattore cruciale

Tornando in Italia, le dodici banche considerate dalla ricerca si attestano rispettivamente a 24,18 miliardi di interessi netti, 19,46 miliardi di commissioni e 50,06 miliardi di proventi operativi, con un rapporto interessi/ricavi al 48,32%. E, dopo approfondite pulizie di bilancio, la strada è spianata anche sul fronte dei “crediti deteriorati” (quelli cioè lasciati nei conti delle banche dai mutui e dai prestiti che famiglie e imprese non riescono più a rimborsare) perché il rapporto tra il totale crediti e appunto i “non performing loan” si attesta al 2,6%.  «La solidità finanziaria delle banche italiane dipende da tre fattori cruciali: le regole e i controlli efficaci della Vigilanza, la qualità professionale dei vertici dei gruppi e la resilienza assicurata dalle lavoratrici e dai lavoratori che con il loro impegno, la serietà e lo spirito di abnegazione hanno fornito un formidabile contributo alla tenuta e alla stabilità del settore” in un periodo di profonda trasformazione del business e contraddistinto da emergenze come il Covid e la guerra in Ucraina, sottolinea il leader della Fabi, Lando Maria Sileoni. La Fabi, insieme agli altri sindacati del credito, si appresta ad avviare il negoziato con l’Abi di Antonio Patuelli per rinnovare il contratto nazionale del settore: sono coinvolte 300mila persone.