Con fatica ci siamo arrivati: ecco l’analisi dell’ultimo capitolo de Il Mondo al contrario. Un capitolo che non è posto in fondo per particolari motivi, di rilevanza o di conseguenzialità, ma che, ribadendo alcuni presupposti dell’opera, ne sancisce bene il termine. Anche nell’occasione l’autore si espone contro una minoranza e la sua presunta tracotanza: le “vittime” della sua critica finale sono gli animalisti.
L’uomo si distingue da ciò che lo circonda
Vannacci inizia la sua analisi con degli assunti dai caratteri ancestrali, per altro già anticipati durante una precedente argomentazione sull’ambientalismo. Lui afferma che la Natura è amorale, incosciente e istintiva. Dunque, essa – incarnata da tutti gli animali diversi dall’uomo e rappresentata geologicamente dall’ambiente – prolifera in barba a ciò che noi consideriamo “buono” o “cattivo” e in considerazione solo di ciò che può essere utile o non utile.
L’animale carnivoro uccide per cibarsi, come l’animale che si crede in pericolo uccide per difendersi, ma nessuno dei due, in definitiva, risente moralmente dell’omicidio. La Terra terremota secondo un progetto prescritto, e di certo non frena innanzi al pianto di un bambino. Ciò considerato, l’uomo non dovrebbe trattare ambiente e animali alla stregua di sé stesso; invece dovrebbe sfruttarli seguendo la stessa logica utilitaristica.
La Natura, in tutte le sue forme, esisterebbe per essere sfruttata dall’uomo: l’uomo dovrebbe potersi alimentare degli altri animali, dovrebbe poterli usare per i loro derivati e dovrebbe poter prendere dall’ambiente quanto gli sia vantaggioso prendere. Comunque: “Essendo un tutt’uno con ciò che lo circonda ed avendo finalmente sviluppato questa consapevolezza, l’uomo si è reso conto che non potrebbe sopravvivere e prosperare se degradasse oltremodo l’ecosistema”; perciò diventa opportuno salvaguardare ciò che ci circonda nel nostro precipuo interesse e non nell’interesse di altro/altri.
L’animalismo: una religione piena di difetti
Dopo aver sancito questi assunti basali, Vannacci va alla critica di quella che definisce la “religione animalista”. Il suo attacco si divide in vari punti:
1. Gli animalisti sarebbero ipocriti, poiché considerano gli animali al livello dell’uomo (assurdità) e comunque non tutti gli animali allo stesso livello: soppesando diversamente la vita di un insetto rispetto alla vita di un uccello e la vita di un uccello rispetto alla vita di un cane;
2. Gli animalisti sarebbero ipocriti, ancora, perché se la prendono contro i più ricchi dei Paesi più ricchi, anziché provare ad agire dove la povertà dilaga, insieme all’insensibilità verso gli animali. L’animalismo, in fondo, è un fenomeno tipico dei Paesi più evoluti, sviluppato da cittadini agiati che possono curarsene e non da cittadini indigenti, costretti a far fronte a ben altre priorità;
3. Gli animalisti pretendono il concetto di famiglia allargato a chi possiede un animale domestico, di fatto pareggiando nei ruoli un ipotetico gatto e un ipotetico bimbo. Addirittura, ormai:” Gli italiani spendono quasi un miliardo di euro all’anno per il mantenimento dei propri cuccioli contro i 633 milioni destinati ai bambini”;
4. Infine, gli animalisti costituirebbero una minoranza tossica per la propria determinazione impositoria. Loro non si accontentano di limitare sé stessi, ma pretendono di invadere il campo della libertà altrui: sentenziando, per esempio, su cosa sia giusto o ingiusto mangiare e su cosa sia giusto o ingiusto indossare.
Gabriele Nostro, 5 ottobre 2023