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Le femministe imbrattano la statua di Montanelli. E il motivo è più idiota del gesto…

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Dunque ieri si è festeggiata la donna. I festeggiamenti sono cominciati a Milano con uno sciopero dei mezzi pubblici che molte donne e molti uomini non hanno capito. Comunque nessun problema: i milanesi sanno che venerdì c’è sempre sciopero, per un motivo o per l’altro. I festeggiamenti si sono conclusi in serata con un corteo milanese.

Cedo la parola al sito dell’agenzia Ansa: “Fumogeni accesi e vernice rosa per imbrattare la statua di Indro Montanelli ai giardini di porta Venezia in segno di protesta contro la violenza di genere: è uno dei momenti del corteo milanese dell’8 marzo, organizzato da Non una di meno e partito intorno alle 19 da piazza duca d’Aosta, diventando man mano sempre più corposo e partecipato, con migliaia di manifestanti”.

Indro è sotto accusa per aver comprato e sposato una dodicenne o quattordicenne etiope nel corso delle guerre “imperiali” di Benito Mussolini. Oggi fortunatamente sarebbe inconcepibile ma è sbagliato giudicare il passato con gli occhi del presente. La cosa non era affatto insolita, e non suscitava scandalo, né tra gli italiani né tra gli africani, come testimoniato da altre fonti, ad esempio i magnifici racconti “africani” di Giuseppe Berto. Ecco le precisazioni sulla vicenda della Fondazione Montanelli-Bassi. “Sulla rete alcuni siti rilanciano Indro Montanelli come pedofilo poiché nella guerra in Etiopia – correvano gli anni 1935-1936 – sposò una ragazza di 14 anni. Forse 12.

Niente di più strumentale e scorretto. Montanelli infatti sposò sì la giovane Destà com’era usanza della popolazione locale, ma, per quanto oggi possa apparirci riprovevole, quel tipo di matrimonio era addirittura un contratto pubblico, sollecitato dal responsabile del battaglione eritreo guidato da Indro.

Si tratta di un episodio della sua vita, non imposto né attuato con violenza, che mai nascose. In proposito ci limitiamo a riportare qualche riga tratta dalla sua Stanza del Corriere del 12 febbraio 2000: “Dopo la fine della guerra e delle operazioni di polizia, uno dei miei tre bulukbasci che stava per diventare sciumbasci in un altro reparto (si tratta di gradi militari delle truppe indigene), mi chiese il permesso di sposare Destà. Diedi loro la mia benedizione… Nel ‘52 chiesi e ottenni di poter tornare nell’Etiopia del Negus e la prima tappa, scendendo da Asmara verso il Sud, la feci a Saganeiti, patria di Destà e del mio vecchio bulukbasci, che mi accolsero come un padre. Avevano tre figli, di cui il primo si chiamava Indro. Donde la favola, di cui non sono mai più riuscito a liberarmi, che fosse figlio mio.”

Un ricordo che meglio di ogni altra considerazione spiega l’atteggiamento di Montanelli che, in relazione a questo episodio, non può essere certamente accusato di violenza o di razzismo. Non ho lavorato con Indro Montanelli ma so che nel suo ufficio, in via Gaetano Negri, sede del Giornale, e anche in casa sua, il giornalista custodiva con affetto le foto scattate nel 1952 di Destà e famiglia. Si dice che abbia anche regalato a Destà cifre importanti. Montanelli, nel dopoguerra, utilizzò anche espressioni ciniche per descrivere i fatti. Ma dietro il gusto per la battuta a effetto c’era una storia di amicizia e non di violenza.

Alessandro Gnocchi, 9 marzo 2019