Non c’è mica solo Carlo Bonomi in Confindustria. Mentre il presidente dell’associazione delle industrie si spella le mani per applaudire Draghi, e da tempo cavalca il destriero dell’obbligo di green pass sul lavoro, a Trento c’è chi alza il ditino per dire che col lasciapassare non sarà proprio tutto rose e fiori. Anzi.
Il “problema” green pass
Roberto Busato, direttore di Confindustria Trento, dialogando con La Presse nei giorni scorsi ha spiegato che l’obbligo di certificazione verde al lavoro, come previsto dal decreto legge in vigore dal 15 ottobre, sarà “un bel problema per le aziende“. Per carità, Busato condivide lo spirito di spingere i reticenti a vaccinarsi così da evitare chiusure in vista della stagione invernale. Anzi, guarda “tutti i giorni i numeri delle prenotazioni: l’aumento c’è e fa ben sperare”. E ritiene che “chi non si vaccinerà dovrà assumersi le proprie responsabilità”. Ma fa anche notare che “la messa in pratica del decreto sta generando confusione e preoccupazione“. “Non tanto per i controlli – spiega – quanto per la programmazione e l’organizzazione del lavoro, dei turni, delle trasferte. Sì perché l’impresa saprà solo al mattino su quanti dipendenti potrà contare”. E non è che può affidare al Fato l’organizzazione quotidiana del lavoro.
L’incognita del tampone
Il motivo è semplice. Lo Stato non ha imposto l’obbligo vaccinale, accollandosi gli eventuali danni o rischi, dunque ha aggirato l’ostacolo impedendo ai non vaccinati di sopravvivere. I malcapitati non possono andare a cena, al bar, al cinema, allo stadio e neppure lavorare. Pena la sospensione dal posto, ovviamente senza uno spicciolo di stipendio. Sempre che possano permetterselo, ci sarebbe la strada del tampone ogni tre giorni al prezzo di 15 euro a cotton fioc. Ed è qui che si crea l’intoppo per le aziende, soprattutto in Trentino dove il 20% della forza lavoro non sarebbe ancora vaccinata. Le possibili situazioni sono due.
1. Un lavoratore si sveglia la mattina, fa il tampone e spera così di ottenere il green pass per andare al lavoro nei tre giorni successivi. In caso di esito positivo, però, deve comunicare all’azienda l’assenza dal lavoro causa Covid. Ed è qui che sorgono i primi problemi: come viene sostituito?
2. Stesso discorso vale per quel lavoratore che, legittimamente, decide di restare a casa e perdere lo stipendio, pur di non farsi inoculare il siero. Chi prenderà il suo posto?
Se nelle piccole aziende, spiega Busato, “i lavoratori si possono sostituire con quelli interinali, con la garanzia del mantenimento del posto”, il dramma sta nelle medie/grandi realtà. “Pensiamo alle nostre associate che hanno 400 dipendenti e che la mattina rischiano di trovarsi senza 100 collaboratori – precisa – Stiamo discutendo con le aziende che offrono personale interinale: avranno un bel da fare, ma appare impensabile trovare ogni giorno su due piedi centinaia di lavoratori con la valigia”. Draghi a questo aveva pensato?