Esteri

L'attacco di Medvedev

Le lacrime di coccodrillo di Di Maio sulle minacce di Medvedev

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Va bene tutto. Le parole di Dmitry Medvedev contro i “nemici” della Russia, segnatamente gli occidentali, sono troppo forti per essere ignorate. “Li odio”, sono dei “bastardi”, farò di tutto per “eliminarli” non sono proprio espressioni tipiche del linguaggio diplomatico. Dunque ben venga la presa di posizione di Luigi Di Maio, che di mestiere fa il ministro degli Esteri. Però nell’indignarsi bisognerebbe fare anche un esamino di coscienza.

Giustamente il ministro grillino ha definito “gravissime e pericolose” le minacce di Medvedev. O meglio “parole inaccettabili, che ci preoccupano fortemente”: “Non è un segnale di dialogo, non è un’apertura verso un cessate il fuoco, non è un tentativo di ritrovare la pace, ma sono parole inequivocabili di minaccia verso chi sta cercando con insistenza la pace”.

Si tratta dell’ultimo atto di un’escalation che ormai allontana sempre di più l’Italia non solo da Mosca, con cui abbiamo sempre avuto dei rapporti “distesi” rispetto ad altri Paesi Ue. Prima la decisione di aderire alle sanzioni e di inviare le armi a Kiev, mal vista – ovviamente – da Mosca. Poi l’intervista a Lavrov. Infine le polemiche sui “putiniani” con tanto di liste di proscrizione. E ancora: la denuncia presentata dall’Ambasciata russa contro La Stampa, la rissa politica sul viaggio di Salvini a Mosca e la recente convocazione dell’ambasciatore Razov alla Farnesina. Una sfilza di dispetti reciproci.

Che l’Italia possa davvero svolgere un ruolo di mediatore, dunque, appare ormai impossibile. Però va ammesso che la colpa non è solo di Mosca (che pure conserva gran parte delle responsabilità). Perché Di Maio può dichiarare quanto vuole che “è doveroso smettere di alimentare tensioni con provocazioni e minacce”. Può piangere quante lacrime vuole per “le affermazioni di oggi” che “non lasciano dubbi e allontanano da parte russa la ricerca della pace”. Sono lacrime di coccodrillo. Perché il primo a definire “animale”, anzi – peggio di un animale – il leader della Federazione russa, fu proprio Giggino. Era il marzo scorso. Quando trattative e dialogo parevano ancora possibili. Non fu un grande colpo diplomatico. Chi la fa, l’aspetti.

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