Quando c’è Lvmh di mezzo bisogna sempre tendere l’orecchio. Stavolta il gruppo apre la strada alla gioielleria etica realizzata utilizzando metalli, minerali o pietre preziose estratti da miniere certificate, su piccola scala o riciclati.
Avendo capito che l’approvvigionamento di diamanti non è eterno e che i clienti sono sempre più attenti allo sviluppo sostenibile e all’origine delle materie prime, tutti i marchi del settore orologi e gioielli sono stati certificati RJC (Responsible Jewellery Council – Consiglio della Gioielleria Responsabile).
Nel 2017, il 98,5% dei diamanti acquistati erano certificati RJC. Nel 2015 Bulgari è diventata la prima azienda del suo mercato a ottenere la certificazione Chain of Custody istituita dall’RJC per l’oro ed un quadro analogo si può osservare alla Kering, dove la quota di acquisti responsabili di oro è passata dal 15% nel 2015 al 57% nel 2017, spiega Marie-Claire Daveu, direttore dello sviluppo sostenibile e delle relazioni istituzionali internazionali della maison.
Tra l’altro, il marchio svizzero di alta gioielleria Chopard è un grande esempio di lusso etico e sostenibile: nel marzo 2018 ha annunciato che avrebbe utilizzato il 100% di oro etico certificato Fairmined, che attesta il rispetto dei diritti e delle condizioni lavorative dei minatori.
La gioielleria sostenibile incoraggia il riutilizzo e il recupero dei vecchi gioielli poiché questi materiali possono essere riciclati per sempre senza perdere la loro qualità o rovinare la creazione di un nuovo pezzo. La cosiddetta ethical jewelry, inoltre, incoraggia l’acquisto di gioielleria vintage, pezzi unici a cui dare di nuovo vita.
Giulia Romana Zacutti, 20 aprile 2021