Sport

Le Olimpiadi di Paola Egonu: solito vittimismo con l’occhio agli affari

Il coach Julio Velasco corre in soccorso della pallavolista in vista della competizione di Parigi

© CGinspiration e Dmytro Aksonov tramite Canva.com

L’allenatore di pallavolo femminile Julio Velasco, che è uomo di militanza, fortemente ideologizzato, in partenza per le Olimpiadi dice che gli toccherà difendere la Paola Egonu. Scusasse, da cosa? La lunga, la presuntuosa che vive e prospera in Italia, “Paese di merda”, se mai dovrebbe essere difesa da se stessa. Nessuno la ha mai criticata o attaccata per altro che non fossero certe sparate sopra le righe, “in questo Paese razzista non farei mai un figlio”, condite da certo divettismo spocchioso e immaturo del genere “voglio tutto e subito”.

Dicono dell’allenatore marxista lo stesso che della pallavolista che non tollera altro che idolatria e la butta sul razzismo ogni volta che qualcuno si accorge che ha sbagliato una palla: sono divisivi. Per non dire prepotenti, tracotanti. Ma questo, scusassero, se mai è un problema loro, che tuttavia minaccia di diventare problema sportivo, nazionale di fronte quando si rivendica il diritto di dare in escandescenze ma di non accettare rilievi di sorta. Velasco, come ogni buon papà di spogliatoio, difende le sue atlete e sa che ha una gatta da pelare, anzi due: il dualismo tra la afropadovana Egonu e la caucasica, russa Antropova, anche lei primadonna.

Le due, diverse come la notte e il giorno, non si prendono e non è un mistero: questioni di supremazia interna e di sponsor, di attenzioni di cui i giovani e le giovani atlete di tutti gli sport sono drogati. E allora il compagno Velasco la butta sul collettivismo socialista, “vince il gruppo, nessuno vince da solo”, per non dire, ma lo fa capire, che la sua tutela va alla lunga d’ebano, non a quella d’avorio. Poi, certo, la filosofia spicciola da spogliatoio, i paradossi da rivista, “a volte è meglio perdere che vincere”, ci sta, deve starci perché fa parte del chiacchiericcio sportivo, tutti filosofi d’accatto ormai gli allenatori. Ma quando il compagno Julio dice che teme la pressione, che è ingiusta la pressione, non fa che mettere le mani avanti: se perdiamo sarà colpa della pressione, cioè di chi critica e critica la mia pupilla.

Pessima impostazione, vittimistica, sul passivo aggressivo: lo abbiamo visto con l’altro guru, lo Spalletti del quale non si capisce una parola: ha messo in campo una formazione di brocchi, per di più spediti allo sbando con i suoi schemi astrusi, ma la colpa, secondo italico costume, era, “del caldo”, delle critiche, dei giocatori idioti che non capivano la sua genialità tattica e strategica, della struttura, della geopolitica, dei conflitti globali. E alla fine non si è dimesso lui come non si è dimesso nessuno, neanche il Gravina della Federazione che, per coprirsi le spalle, assume figli di politici da Tajani e Giorgetti e campa tranquillo.

Ma è vero che Velasco siamo noi e Egonu siamo noi. Suscettibili, convinti di essere dei Mozart sportivi, dei grandi incompresi con tutto il mondo contro. È l’attitudine italica, che anche una nigeriana nata qui non può non assorbire: italiana, italiana vera Paola, coi suoi scatti, il suo temperamento divisivo che vuol dire: ci sono io, e poi ci sono le altre e se un allenatore non fa come voglio io, io lo mando platealmente a fanculo. Sempre con l’occhio agli affari, agli sponsor, che non guasta. Ma queste alla fine sono minuzie, polvere di stelle, di divismo. Intanto nella Parigi del blocco elettorale di sinistra, la Parigi in mano ai “nuovi generazione” che portano avanti l’Islam politico e, per non sbagliare, bruciano tutto sia che le elezioni le perdano, sia che le vincano col trucco, in questa Parigi che l’Unione Europea e il clientelismo etnico di sinistra ha trasformato in una immensa propaggine musulmana, la militarizzazione è totale.

Immigrazione incontrollata e istituzionalizzata uguale civiltà, pace e progresso, come predica il nostro Mattarella dal Brasile, ma la paura per stragi e attentati è gigantesca e Parigi per la festa dei giochi olimpici che affratellano i popoli non è diversa da Gaza; mettici anche gli attacchi informatici, nella logica della nuova guerra che si combatte, che tutti, nessuno escluso, combattono coi pulsanti e le manopole degli smanettoni assoldati dai servizi, dal controspionaggio, e ottieni la catastrofe della società inclusiva, la sua autosmentita, la sua Nemesi. Ma di questo, nessuno avrà il coraggio di parlare, neppure gli allenatori comunisti e divisivi, perché non è consentito, non sta bene, perché pregiudica potenziali sbarchi o ritorni nella politica attiva, concreta. Non è che si siano fatti molti passi avanti dal settembre nero di Monaco 1972, quantomeno in termini di allarme continuo, di massima allerta costante.

Scusassero, ma non si era detto che l’Europa unita serviva a disinnescare le spinte maligne grazie alla concordia dei popoli e delle nazioni? Le nazioni hanno rinunciato a coprirsi, delegando la sicurezza a questa astrazione finanziaria che si basa sulla corruttela endemica, sulle alleanze spregiudicate e malavitose, sull’affarismo climatico o farmaceutico, sulla tratta legalizzata dei disperati e dei tagliagole; e a Parigi 2024, tutti a pregare il Dio della provvidenza, quale che sia ma che ci pensi lui, che ancora una volta faccia da ombrello alle follie umane della politica irresponsabile e implosiva, più che inclusiva. E questi stanno a preoccuparsi di mettere le mani avanti, di difendere a priori le proprie predilette, che anche quando sbagliano non sbagliano mai, perché così vuole la legge pubblicitaria degli sponsor?

Ed è quasi divertente che a preoccuparsene sia un coach che da giovane in Argentina guidava il comitato universitario degli studenti comunisti in opposizione alla feroce dittatura militare.

Max Del Papa, 26 luglio 2024

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