Pesanti nubi si addensano sul destino politico di Marine Le Pen. Come ben sappiamo per la leader del Rassemblement National, per tre volte candidata sconfitta all’Eliseo, l’incubo più temuto diventa realtà: il tribunale di Parigi l’ha condannata a cinque anni di ineleggibilità, con effetto immediato, compromettendo la sua candidatura alla presidenza. Un voto per il quale i sondaggi la davano favorita almeno al primo turno. “Una sentenza politica”, ha commentato la leader del Rn, un giudizio condiviso da molti, anche perchè come vi abbiamo spiegato il giudice poteva evitare l’ineleggibilità della Le Pen, ma ha voluto fermarla.
Sono tante le riflessioni che si possono fare, una di queste è legata alla giustizia a orologeria. Un grande classico della politica italiana e non. Basti pensare alle polemiche negli Stati Uniti nei mesi precedenti le elezioni presidenziali, poi stravinte da Donald Trump. Un caso piuttosto recente che molti hanno accostato all’affaire Le Pen è quello registrato in Romania, protagonista Calin Georgescu, il candidato alla presidenza escluso su decisione della Corte costituzionale romena. L’accusa? Le influenze esterne. La Russia. In soldoni, aver ricevuto soldi da Mosca.
Un primo legame tra Le Pen e Georgescu è visibile a occhio nudo: leader politici di opposizione considerati favoritissimi alle elezioni. Il romeno era in vantaggio al primo turno, prima di veder annullati i risultati del voto e di dover fare i conti con sei capi d’accusa: istigazione ad azioni contro l’ordine costituzionale, comunicazione di false informazioni, false dichiarazioni finanziarie in forma continuativa, promozione in pubblico del culto di persone colpevoli di crimini di genocidio e crimini di guerra, costituzione o sostegno a un’organizzazione di carattere fascista, razzista, xenofoba o antisemita. La leader del Rn non ha partecipato ancora ad alcuna tornata elettorale, ma i sondaggi sono cristallini: consensi attorno al 36 per cento. Insomma, alle presidenziali avrebbe potuto recitare il ruolo della protagonista dopo tre tentativi a vuoto. Un altro possibile legame tra i due è lo scetticismo nei confronti dei “volenterosi” e la priorità ai negoziati sull’Ucraina.
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E c’è di più. I casi di Georgescu e Le Pen portano alla mente le parole di Thierry Breton di pochi mesi fa, di gennaio per la precisione. In quell’occasione l’ex commissario Ue per i mercati interni e i servizi lanciò una minaccia esplicita in vista delle elezioni in Germania. “Se non rispetteranno la legge – il riferimento a X – ci saranno multe. E se continueranno a non rispettarla, la legge prevede anche la possibilità di un divieto”. Disinformazione legata indissolubilmente alle elezioni a Bucarest ed ecco l’intimidazione: “Applichiamo le nostre leggi in Europa quando c’è il rischio che vengano aggirate. Lo abbiamo fatto in Romania, e se necessario lo dovremo fare anche in Germania”. Un riferimento palese all’AfD e all’ipotesi di un successo alle urne del partito della Weidel. Problema risolto dal solito accordino tra chi fino al giorno prima si faceva la guerra a suon di insulti.
Il pensiero di molti è il seguente: se chi vince o rischia di vincere un’elezione non è schierato dalla parte giusta, può essere tolto di mezzo? La teoria dei poteri forti, in buona sostanza. Il materiale c’è, queste squalifiche quantomeno sospette. Ma c’è anche un altro aspetto da considerare. Questi interventi a gamba tesa dei giudici sembrano spingere gli elettori a sostenere con ancora più forza certe scelte: i primi sondaggi in Francia sorridono a Rn e al giovane delfino Bardella. L’esempio arriva ancora una volta dagli Stati Uniti, dove Trump ha sbaragliato la debole concorrenza di Kamala Harris.
Franco Lodige, 2 aprile 2025
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