Negli Stati Uniti inizia a farsi sempre più folta la squadra di analisti, politici e militari che gettano alle ortiche la “dottrina Biden”, ovvero la ricerca di una sconfitta di Putin, in nome di una “soluzione” che porti ad una via d’uscita dalla guerra in Ucraina. In principio è stato il Pentagono a segnalare che la riconquista del Donbass per Zelensky sarebbe stata impresa impossibile. Poi è arrivato il New York Times a chiedere “dolorose concessioni” territoriali per raggiungere il cessate il fuoco. Infine Henry Kissinger, uno che di geopolitica se ne intende, ha inflitto il colpo finale alle mire di Kiev, invitando il presidente Ucraino ad accettare un compromesso su Donbass e Crimea. Cioè a considerare di perdere almeno i territori già di fatto in mano a Mosca prima del 24 febbraio.
Zelensky non l’ha presa bene. E neppure il suo ministro Kuleba. Tanto che Kiev è arrivata ad accusare la Nato di “non fare assolutamente nulla” per aiutarla contro l’invasione di Putin. E questo nonostante le armi arrivate in massa da Ovest. Nonostante le sanzioni. Nonostante il quasi via libera alla candidatura per l’ingresso in Ue. Zelensky vorrebbe di più, magari le armi a lunga gittata e quelle di maggior tecnologia. Ma né la Nato né gli Usa sembrano per il momento intenzionate a fornirle: il “patto segreto” dell’Alleanza prevede l’embargo all’esportazione di tank di ultima generazione e di caccia. Ma anche sui missili le resistenze sono simili.
Il motivo? Lo ha spiegato chiaramente l’Ammiraglio James Stavridis, già comandante supremo delle forze Nato dal 2009 al 2013: “Napoleone Bonaparte usava dire che non bisogna interferire quando il nemico sta compiendo massicci errori strategici. Ma il nemico di Bonaparte non aveva le armi nucleari. Putin ce le ha. Per questo è arrivato il momento di cercare una via d’uscita, per non chiuderlo nell’angolo”.
L’idea che l’Occidente debba abbandonare il principio di difesa della “integrità territoriale dell’ ”Ucraina” si fa strada pian piano che la Russia avanza sul terreno. Oggi anche Boris Johnson ha dovuto ammettere che i progressi russi in Donbass sono lenti ma inesorabili. E soprattutto man mano che diventa sempre più chiaro il rischio che un lungo conflitto possa portare ad episodi di escalation, con uno scontro diretto tra Mosca e Nato. I rischi esistono. Avril Haines, direttore dell’intelligence nazionale, davanti alla Commissione delle Forze armate del Senato, ha spiegato chiaramente che la guerra “potrebbe prendere una traiettoria più imprevedibile e potenzialmente portare a una escalation”.
A colpire sono anche le tempistiche. Sia Kissinger che Stavridis ritengono che vi siano solo due mesi per raggiungere un accordo di negoziato per frenare il fragore delle armi. Altrimenti “tra due, quattro, sei mesi al massimo entriamo in un’area a rischio”. Secondo Stavridis, come riporta il Messaggero, Biden e il suo Staff starebbero lavorando ai fianchi Zelensky per fargli capire che “comunque stia andando la guerra adesso, la Russia rimane una potenza formidabile, e resterà sui loro confini per sempre, e che forse è giunto il momento per loro di discutere se non sia giusto rinunciare al dieci per cento del loro territorio per avere in cambio la pace e garanzie di sicurezza sponsorizzate dall’Ovest”.
Tralasceremo il fatto che chiunque solo un mese fa avesse ipotizzato una concessione territoriale simile sarebbe stato additato come sporco putiniano. Il realismo, invece, si sta facendo strada tra molti analisti a stelle e strisce. Aaron David Miller, pure lui molto ascoltato negli Usa, ritiene che cercare una “via d’uscita” in questa guerra sia diventato fondamentale. Altro che regime change. Altro che “quest’uomo non può restare al potere”, come si era fatto sfuggire Biden riferendosi a Putin. “Kissinger ha sempre lottato sulla base di questo principio – ha detto – che non si deve mai arrivare alla sconfitta totale di uno dei contendenti, alla sua umiliazione”. Bisogna però superare un ostacolo di non poco conto che si chiama Volodymyr Zelensky, il quale deve fare i conti con un Popolo che per ora non vuole sconfitte. Sta alla Nato, dice Miller, fare “pressioni su Zelensky” e capire se Putin è interessato a un compromesso. Sì vedrà. Intanto le armi risuonano.