Devo confessare che avevo un certo pregiudizio prima di leggere Politicamente corretto. La dittatura democratica edito da Giubilei Regnani.
Critica al politicamente corretto
E non certo per colpa di Giovanni Sallusti, si tratta di un giornalista che conosco bene e di cui apprezzo i punti di vista. Era proprio questo il motivo: conosco bene i punti di vista di Sallusti, che sono anche quelli di chi scrive queste note: l’allergia verso certi tic della cultura italiana, l’idiosincrasia verso il conformismo di giudizi sempre uguali e scontati. Temevo di leggere ciò che sapevo. E condivido.
Niente di più sbagliato. O meglio, il libro sviluppa in modo sapiente una critica al politicamente corretto, ma con argomenti nuovi, inediti, mettendo in fila situazioni e casi concreti. Parte da una geniale trovata narrativa: «piacere, mi chiamo Giovanni Sallusti. Sono un maschio, bianco, cristiano, eterosessuale… Quattro caratteristiche descrittive che nell’incubo quotidiano che ci ha ipnotizzato (o quasi), sono diventate quattro parole tabù».
Ogni capitolo del libro sarà dunque dedicato al «racconto della loro messa al bando». Sono 130 pagine, non di più, che ci conducono per l’orrore intellettuale a cui siamo arrivati, una dittatura del pensiero che ha diversi sacerdoti. Michela Murgia che riesce a tracciare l’idea del maschio come colpevole a prescindere, come il figlio del boss mafioso, che indipendentemente dalle proprie responsabilità è colpevole per quell’aria che ha respirato. Ezio Mauro e il suo sopracciglio alzato, più subdolo e sofisticato, disgustato da quella «razza bianca», quella che solo per la sua esistenza si deve far perdonare qualcosa. E ancora Michele Serra e Fabio Fazio, sconvolti dalla giornalista del Tg2 in onda con il crocefisso, che per la sua esibizione diviene per tabulas definita «confessionale».
E infine, scrive Sallusti, quell’idea della sessualità un tempo bandiera del libertarismo oggi scaduta in voglia liberticida. Per la quale non è importante affermare e rispettare la diversità, ma cancellarla. Per arrivare a quei monumenti al ridicolo ben rappresentati dall’ansia di voler sposare Dylan Dog, sì proprio lui, con Groucho, quasi a far dimenticare l’attitudine da playboy dell’indagatore dell’incubo ben radicata nei suoi lettori decennali.