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Le scuse del Papa agli indiani? È roba politically correct

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Vista al tg una vecchissima indiana canadese lagnarsi perché le era stata sottratta al sua «indianità» quand’era bambina, vediamo di dire la nostra sul viaggio del papa in Canada. Qualcuno lo ha criticato: come, non vai in Africa dove i cristiani vengono massacrati perché sei in carrozzina e invece ti fai sette ore di volo per andare in Canada dove i massacri non ci sono? La risposta è, sì, perché, tanto, in Africa la sua presenza non avrebbe cavato un ragno dal buco, mentre in Canada le cose sono diverse, molto, e Trudeau, il premier più a sinistra del mondo, l’aveva «invitato». Con una proposta che non si può rifiutare, quando era venuto a Roma a dirgli di venire a «chiedere scusa» a eschimesi e indiani canadesi.

Ora, da quelle parti (e anche nei sottostanti Usa), in ogni cesso pubblico c’è appostato un avvocato che ti dice appena entri: se ti becchi qualche infezione questo è il mio biglietto da visita. Ciò significa chr molte diocesi nordamericane sono praticamente rovinate da richieste di risarcimenti miliardari per abusi veri o presunti tornato a galla dopo quarant’anni. E, anche là, se il giudice è di sinistra indovinate come va a finire. Ma, pure se è trumpiano, l’incauto querelante è quasi sempre un fallito, perciò si paga sempre e si incassa mai. Detto questo, veniamo al Canada. La solita giornalista radical nel solito servizio ha scoperto, qualche anno fa, una moria di bambini inuit e indians negli orfanotrofi cattolici, con tanto di foto aerea di rilievi di terra allineati che sarebbero tombe. Abusi, maltrattamenti etc. (la giornalista, di origine native, è partita, ha detto, da una voce diffusa nella sua comunità). A parte il fatto che nessuno a tutt’oggi è andato a vedere cosa c’è in quelle «tombe», la comunità indian-inuit, opportunamente aizzata, è partita in quarta contro la Chiesa. Soldi, vogliamo.

Ora, com’è ‘sta storia canadese? Uguale a quella australiana e a tutti quei Paesi che un tempo dipendevano anche politicamente da Sua Maestà Britannica. L’attore e regista Kenneth Branagh nel 2001 ci ha fatto addirittura un film, La generazione rubata. Nei primi decenni del Novecento il pensiero politicamente corretto di allora diceva che i tribali andavano civilizzati per il loro bene. Così, i bambini venivano prelevati e cresciuti, educati, istruiti, vestiti all’inglese. Ciò avrebbe portato beneficio a loro e agli altri. Insomma, era iniziativa di Stato. Ma detto Stato, di cultura protestante, non era attrezzato per una cosa così vasta. Così, gli aborigeni australiani venivano portati in Inghilterra per essere adottati da famiglie inglesi. In Canada, mezzo francese, c’era però la Chiesa cattolica, che per sua natura era già organizzata all’uopo con educandati ed orfanotrofi. Perciò il governo canadese chiese ad essa di farsene carico. Da qui i bambini eschimesi e indiani allevati dalle suore.

Ricordiamoci però dell’epoca: non c’erano antibiotici e la tubercolosi era tra i problemi più diffusi. I più gracili morivano. Anche perché molti arrivavano già denutriti se non malati grazie all’«indianitudine». Ora Bergoglio sta cercando di pelare questa nuova gatta che il new politically correct ha messo in scena. Buona fortuna, perché ne ha bisogno. Ah, chi non è d’accordo con questa mia ricostruzione (che non è solo mia, visto che molti storici canadesi si sono attivati) ricordi che in ogni buon processo è istruttivo ascoltare anche l’altra versione.

Rino Cammilleri, 27 luglio 2022