Il clamoroso scivolone del governo sul redditometro ha ovviamente suscitato un grande dibattito sui media. Un dibattito che, come purtroppo accade in merito ad argomenti particolarmente complessi, tende a semplificare le questioni, solleticando spesso e volentieri la pancia degli italiani.
Tant’è che soprattutto La7, che esprime una linea editoriale di netta opposizione rispetto all’attuale maggioranza, ha dedicato grande spazio alla questione. Giovedì nel corso del primo talk di giornata in onda sull’emittente di Urbano Cairo, Omnibus, il conduttore Edgardo Gulotta ha più volte enfatizzato la presunta evasione degli ultimi 10 anni, la quale, come riporta un pezzo di gennaio del Sole 24 Ore, ammonterebbe a ben 932,3 miliardi di euro (strano che non abbiano inserito anche gli spiccioli).
Nello stesso articolo, a firma di Angelo Mincuzzi, viene espressa in modo chiaro il presupposto che giustificherebbe indirettamente l’adozione di una sorta di grande fratello fiscale: “Negli ultimi dieci anni le imposte evase in Italia hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 932,3 miliardi di euro. Quasi 1.000 miliardi che avrebbero potuto essere utilizzati per ridurre le tasse (a chi le paga) e migliorare la vita di tutti noi.”
A mio avviso si tratta di una colossale scemenza la quale, tuttavia, solleticando l’ancestrale meccanismo dell’invidia sociale, viene utilizzata dal partito unico delle tasse e della spesa pubblica per aumentare la pressione fiscale, giustificando alla bisogna l’introduzione di nuovi imposte.
In realtà, come teorizzò Giuliano Amato decenni addietro, quando era ministro del Tesoro, ammesso e non concesso di colpire a tappeto la stessa evasione fiscale, la quale in molti casi rappresenta una evasione di necessità, si può ottenere una sorta di eterogenesi del fine, determinando in prospettiva un calo del gettito tributario allargato.
Tutto ciò per il semplice motivo che nella stragrande maggioranza dei casi, escludendo i paperoni che riescono a portare i quattrini all’estero, i proventi del sommerso restano nel ciclo economico e, oltre a creare uno stimolo per l’economia, subiscono a loro volta una qualche forma di prelievo. Anche perché la mano pubblica può contare su una infinità di griglie fiscali di lettura, per cui ciò che sfugge dalla porta in un modo o nell’altro rientra da qualche finestra.
Inoltre, l’idea che se tutti pagassero tutto, ritenendo di favorire la crescita complessiva del benessere sociale, si fonda sul presupposto, orrendo per un liberale, che lo Stato e la sua burocrazia siano più efficienti e efficaci nel produrre ricchezza rispetto all’azione spontanea dei privati cittadini.
Si tratta una pia illusione la quale, se portata alle sue estreme conseguenze con strumenti liberticidi analoghi al redditometro, è destinata a rendere più fragile il sistema economico, disincentivando la libera intrapresa. Il resto è pura propaganda.
Claudio Romiti, 25 maggio 2024
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