Giustizia

Le tesi della giudice Albano contro il piano Albania

Presidente di Magistratura Democratica, Silvia Albano si è scagliata a più riprese contro il governo. E ha (ovviamente) bocciato il progetto invidiato da tutta Europa

I fatti sono tristemente noti. Venerdì la sezione immigrazione del Tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento dei migranti presso il Centro italiano di permanenza per il rimpatrio di Gjader, in Albania. Un attacco mirato a un modello vincente, invidiato da tutta Europa e destinato a tracciare un solco. Come anticipato dal Partito Democratico già nella giornata di giovedì, la magistratura ci ha messo la manina. E non è stata una manina qualsiasi, ma una piuttosto conosciuta e non solo per il brillante passato da toga. Parliamo di Silvia Albano, 63 anni, componente della sezione immigrazione del tribunale capitolino, presidente di Magistratura Democratica, nonché colei che ha firmato la sentenza sui Cpr in Albania.

Anziché astenersi, la Albano ha messo la firma su un piano stroncato a più riprese sui giornali. Interviste, commenti, dialoghi: la giudice non ha lesinato critiche al piano Albania, nonostante il suo (presunto) ruolo imparziale. Le tesi sul progetto del governo in materia di immigrazione risalgono già a più di un anno fa, quando marchiò il piano come “una deportazione”, una “violazione dei diritti umani e delle norme comunitarie” e anche “un respingimento collettivo che è vietato dalle direttive europee”. Come avrebbe potuto prendere una decisione difforme da questo pesante e perentorio giudizio? A proposito della liberazione di tre migranti trattenuti in base alla nuova legge, la toga aveva evidenziato: “Si tratta di principi elementari cui applicazione, soprattutto nella materia del diritto dell’immigrazione, dà luogo a reazioni scomposte”. Ma non è tutto.

In un’intervista rilasciata a Repubblica lo scorso dicembre, la Albano non aveva utilizzato troppi giri di parole: “Immagino che ci sarà una pioggia di ricorsi su cui dovremo pronunciarci. E se non ci sarà una legge di ratifica che definisca le deroghe al quadro normativo nazionale previste da questo protocollo non potremo che prenderne atto”. La giudice di Padova aveva aggiunto che “le variazioni di legge devono essere compatibili con le direttive europee” e che “l’extraterritorialità necessita di una legge, non si dichiara con un protocollo”.

La questione dei Paesi sicuri è centrale e la Albano l’aveva analizzata a maggio ai microfoni del Domani, soffermandosi sul decreto ministeriale che aveva allargato l’elenco dei Paesi sicuri. “È chiaro che più è lunga la lista dei Paesi di origine sicuri, più persone possono essere portate in Albania”, l’ammissione della giudice, decisa però a tenere il punto: “Mi pare che l’esigenza sia più quella di controllare i flussi migratori che di garantire i bisogni di protezione imposti dalle convenzioni internazionali e dalla Costituzione”. Una considerazione di un giudice o di un esponente dell’opposizione?

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Insomma, la Albano ha espresso a più riprese il suo punto di vista sull’accordo con l’Albania. Ciò che è certo è che non ha parlato solo con gli atti, come dovrebbero fare i giudici. Il pregiudizio è lapalissiano, distante anni luce da quel che dovrebbe essere il principio di terzietà. Senza dimenticare che la Albano non è nota solo per essersi esposta su questo caso. La giudice è salita agli onori delle cronache perchè sul proprio profilo social rilanciava raccolte fondi in favore delle Ong del mare e negli ultimi mesi ha lanciato altri messaggi contro il governo.

Commentando il caso della giudice Iolanda Apostolico in un’intervista al Manifesto, la Albano accusò l’esecutivo guidato dalla Meloni di essere insofferente ai controlli: “Rischiamo che venga snaturato il sistema democratico. L’indipendenza non è un problema che riguarda i giudici, ma soprattutto i cittadini e i loro diritti. Il pluralismo è sempre stato una ricchezza e ha fatto evolvere la giurisdizione”. E, ancora, dopo la richiesta di sei anni di pena per Matteo Salvini nel processo a Open Arms, la Albano prese di mira la Meloni – rea di aver difeso il suo allato – parlando di presunta “indebita pressione dei giudici”.

Tirando le somme, la sentenza sul piano Albania danneggia l’interesse nazionale e certifica la politicizzazione della magistratura. Preoccupa l’assenza di un chiaro confine tra professione e militanza politica, un problema atavico che sembra assai lontano dalla risoluzione.

Franco Lodige, 20 ottobre 2024

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