Non esitano a parlare di “tradimento” i giornali d’oltralpe. E a consumarlo sarebbe stato per prima l’Australia che avrebbe rigettato un accordo strategico con la Francia del 2016 che doveva rifornire il paese oceanico di 12 sottomarini nucleari per stipulare, in nome di un’antica alleanza fra Paesi anglofoni, un accordo militare e strategico con Stati Uniti e Gran Bretagna. La reazione francese, come è noto, non si è lasciata attendere: ritiro degli ambasciatori a Canberra e Washington e coinvolgimento dell’Unione Europea che però non ha dimostrato forse tutto il calore che i transalpini si aspettavano. E d’altronde, cosa poteva aspettarsi la Francia che, forte della sua idea di grandeur, aveva deciso di giocare da sola la partita, in barba ad ogni europeismo di facciata?
Una vicenda che insegna parecchie cose.
1. Prima di tutto l’ambiguità di uno dei due Stati più importanti dell’Unione, del tutto pari a quella dell’altro. Francia e Germania insistono infatti per la priorità delle istituzioni comuni sugli interessi nazionali ma solo quando conviene loro, militarmente o commercialmente. E quell’europeismo che vorrebbero imporre agli altri spesso non vale per loro. Come può nascere un’Europa comune e solidale su queste basi?
2. Il secondo insegnamento concerne il Regno Unito: non solo con la Brexit non è sprofondato nell’isolamento e nell’irrilevanza geo-politica, come i soloni di casa nostra (e non solo) erano convinti che avvenisse, ma ha riacquistato una agilità e una mobilità a tutto campo che, grazie alla sua naturale tensione verso il mare aperto, che è elemento culturale prima che geografico, non lo farà mai essere quello che pure è: una piccola isola confinata ai margini settentrionali del mondo. Non occorreva scomodare più di tanto Carl Schmitt per intuirlo e capirlo!