3. Il terzo insegnamento è che nella guerra più o meno fredda alla Cina non si può essere ambigui. L’accordo Aukus, in sostanza, significa proprio questo: Australia e America non si fidano né dell’Europa che, per ripetere la sferzante vecchia battuta di Henry Kissinger, continua a non avere un unico numero di telefono a cui chiamare; né della Germania, alla ricerca per sé e per l’Europa di un “terza via” che non comprometta i rapporti commerciali con Pechino ma anzi li intensifichi; né della Francia, che è arrivata a dire con il suo presidente che la Nato è un vecchio arnese che non serve più a nulla.
Quarto elemento da considerare: l’America è oggi sicuramente divisa politicamente e culturalmente come non mai, ma sugli elementi di fondo della sua politica di sicurezza, oltre le apparenze, c’è una continuità di fondo fra tutti i presidenti: su certe cose non si scherza! L’Europa, in effetti, si era illusa che con Biden alla Casa Bianca fosse tutta iniziata tutta un’altra storia rispetto a Trump, e che cioè il gigante americano, in nome di un ritrovato asse democratico contro i “sovranismi”, avrebbe continuato a fare quello che ha fatto per tutta la prima guerra fredda, quella con l’Unione Sovietica: rispettarla. Ove per “rispetto” gli europei hanno sempre inteso: protezione totale a costo zero. Sia in termini economici, sia in impegni di guerra. In sostanza, la botte piena e la moglie ubriaca!
Viste in questa prospettiva, le frasi che ascoltiamo in questi giorni a Bruxelles (“ora vogliamo autonomia strategica”, “faremo da soli”, ecc.) non sono altro che futile retorica. Velleitarie e ipocrite quanto altre mai.
Corrado Ocone, 23 settembre 2021