Le bandiere nel calcio ultramiliardario di oggi purtroppo non esistono quasi più, cioè quei giocatori che hanno completato tutta la loro carriera nella stessa squadra, fino a diventare simboli della stessa. Tali calciatori, se portavano anche la fascia da capitano, sono diventati veri e propri idoli immortali per i loro tifosi. Nel caso del Milan, dopo Gianni Rivera e Franco Baresi, Paolo Maldini è sicuramente uno di loro, anche perché appartenente ad una vera e propria dinastia di rossoneri. Quando questi sportivi fuori dal comune parlano, spesso dicono cose forti, magari non sempre facili, ma meritano comunque di essere ascoltati.
Maldini, tuttavia, pur essendo uno dei simboli del team rossonero di Milano, dove ha esordito giovanissimo a 16 anni in Serie A, è sempre stato una bandiera che, per continuare la metafora, ha forse sventolato più forte e controvento di altre. Non le ha mai mandate a dire e spesso questa sua schiettezza non lo ha favorito. Come noto, a inizio giugno 2023, fu licenziato dal nuovo Milan di Gerry Cardinale e del presidente Scaroni. Ma anche con la dirigenza Gazidis-Furlani i rapporti non erano idilliaci.
In una intervista a Repubblica Maldini si confessa togliendosi non pochi sassolini dalle scarpe (anche se ormai appese al chiodo), pur mantenendo intatta la sua passione per la squadra in cui hanno giocato non solo lui, ma anche suo padre Cesare, i figli Christian (nella Primavera) e Daniel e della quale è stato dirigente per 5 anni. Già la prima affermazione dell’ex capitano pesa come un macigno: “Ci sono persone di passaggio, senza un reale rispetto di identità e storia del Milan. E ce ne sono altre legate ai suoi ideali. Converrebbe tenersele strette”. Scaroni e Cardinale avevano detto di Maldini: “Si confonde con la volontà di essere responsabile delle decisioni previste dal ruolo. L’informazione non viene indirizzata verso la verità: chi dice il contrario sa di mentire a se stesso”.
Dal canto suo Maldini rincara la dose: “Scaroni non ha mai chiesto se serviva incoraggiamento a giocatori e gruppo di lavoro. L’ho visto spesso andare via quando gli avversari pareggiavano o passavano in vantaggio, magari solo per non trovare traffico, ma puntualissimo in prima fila per lo scudetto. Posso dire lo stesso anche rispetto ai due ceo, Gazidis e Furlani”. Quindi la sintonia tra Maldini e la dirigenza non c’è veramente mai stata. Forse il suo amore per il Milan e il loro rispetto per una bandiera rossonera li faceva andare d’amore e d’accordo lo stesso. Il 5 giugno scorso, quindi, Cardinale comunicò a Maldini il suo licenziamento, adducendo come motivo i cattivi rapporti con l’ad Furlani. Maldini contesta che la semifinale di Champions League 2022 è stato un traguardo eccezionale che ha ampiamente superato i traguardi di inizio stagione (qualificazione alla Champions per il 2023 e, in caso di eliminazione, passaggio di almeno un turno in Europa League) e portato introiti di almeno 70 milioni di euro nelle casse rossonere.
Ma Cardinale voleva vincere la Champions League. Maldini, da oculato dirigente, spiegò “che serviva un piano triennale, da ottobre a febbraio l’ho preparato con Massara e con un amico“. Ma non ci fu nessuna risposta da parte della dirigenza su quel piano. Altro argomento del contendere riguardò il giovane De Ketelaere, che al suo primo anno in rossonero ha clamorosamente fatto cilecca. Maldini sembra lucido anche su questo argomento: “Su 35 acquisti ci contestano De Ketelaere, che aveva 21 anni. Se si scelgono ragazzi di quell’età, la percentuale d’insuccesso è più alta. Vanno aspettati, aiutati”. Anche gli arrivi di Leao, Bennacer e Theo Hernandez non vennero visti di buon occhio dalla dirigenza, anche se oggi sono tutti e tre diventati pilastri imprescindibili della squadra.
Maldini insomma, durante il suo periodo da dirigente, è riuscito ad ottenere “tre Champions giocate di fila, scudetto dopo 11 anni, semifinale di Champions dopo 16 e bilancio in attivo dopo 17”. Forse, la troppo affrettata partenza di Tonali, quando l’ex capitano era ormai fuori dai giochi, viene anche commentata velenosamente dall’ex capitano rossonero: “Non c’era necessità, avremmo fatto il possibile per non lasciarlo andare”. Da buon milanista storico, Maldini si manifesta contrario allo smantellamento dello stadio Meazza: “Non potevo mettere la faccia su un progetto da 55-60 mila posti, San Siro pieno mi dà ragione” e “con un nuovo San Siro si rivaluterebbe una zona a rischio abbandono“. L’ex capitano avrebbe addirittura voluto portare Messi al Milan: “Dopo il Barça era libero e secondo proiezione sull’indotto ne valeva la pena”.
Maldini è anche quella bandiera del Milan che venne indegnamente fischiata dalla Curva Sud nel suo ultimo giro di campo alla fine dell‘ultima partita col Milan nel maggio 2009. Gli attriti con i tifosi sono anch’essi dovuti a vari episodi (ma questa è un’altra storia) in cui l’allora capitano rossonero non ebbe paura di mettersi contro la Curva e criticarla apertamente in alcune interviste per non supportare a dovere i rossoneri nelle partite casalinghe.
Il capitano Paolo Maldini, uno dei vessilli storici del Milan, malgrado le critiche puntuali all’attuale dirigenza rossonera è realista e resta per sempre soprattutto un tifoso e un modello per la sua squadra: “Un legame di 36 anni è troppo forte e resterà per sempre: la storia non si cancella. Dico grazie alla vita e al Milan”. Infine rivolge agli attuali comandanti del team l’appello che è di tutti i tifosi: “Oggi comandate voi, ma per favore rispettate la storia del Milan“. Chissà se in questi tempi di risultati altalenanti per i rossoneri, il pensiero di giocatori e l’esempio di cuore e spirito di altre epoche possa ispirare gli 11 in campo e i loro colleghi in panchina.
Andrea Gebbia, 3 dicembre 2023